L'Opinione
30 settembre 2008
Il congresso annuale di Manchester, sul modello spettacolare delle convention americane, non ha sanato i problemi dei Laburisti inglesi. Gordon Brown, in fortissima crisi di consensi, ha tentato la carta dell’unità, dell’esperienza e dei frutti positivi di undici anni di governi laburisti a Downing Street: “E’ in momenti di incertezza come questi che noi dobbiamo essere e saremo come una roccia per stabilità e correttezza, cui la gente potrà appoggiarsi.
Voi sapete dove ho sbagliato, ammetto i miei errori e mi impegno a rimediare”. Un messaggio chiaro, rivolto più agli avversari interni che ai conservatori. Il problema più impellente dei Laburisti, infatti, non è tentare un difficile recupero nei sondaggi (i Tories di David Cameron godono di un solido vantaggio a doppia cifra), bensì ricucire i pericolosi strappi interni.
Il rischio, come proprio la recente storia del partito Conservatore insegna, è quello di una lunga fase di torpore e di oblio, dalla quale sarà difficile venir fuori. Ma la professione di umiltà di Mr. Brown non sembra aver sortito gli effetti sperati. Proprio nelle ore del congresso, infatti, il ministro dei Trasporti Ruth Kelly ha rassegnato le dimissioni, ufficialmente “per passare più tempo con la famiglia”.
Sarà anche vero, ma la defezione della quarantenne Kelly rimane comunque un ulteriore segno di debolezza di un partito che rischia la deriva del “si salvi chi può”, con i maggiorenti pronti ad abbandonare la nave prima che si inabissi completamente.
E non aiuta certo a placare gli animi inquieti dei Laburisti l’ascesa di David Miliband, ministro degli Esteri e rivale interno di Brown. La sfida è aperta in vista delle prossime elezioni generali, che si svolgeranno al più tardi nella primavera del 2010. Ma l’acceso dualismo laburista rischia di avere un esito clamoroso: il ritorno di Tony Blair.
In molti lo invocano, nella speranza di invertire un trend disastroso che, allo stato attuale, non ammette possibilità di recupero nei confronti del rampante David Cameron. Intanto i giornali d’Oltremanica attaccano ferocemente il governo, chiedendo a gran voce l’uscita di scena di Brown. Sul Times, ad esempio, due columnist di diversa estrazione politica tracciano un quadro impietoso.
Si tratta di Daniel Finkelstein, ex collaboratore dell’ultimo premier conservatore John Major, e Alice Miles, giovane editorialista di talento, vincitrice nel 2007 del premio Columnist of the Year. Finkelstein, memore dell’esperienza conservatrice vissuta in prima persona, mette in guardia i laburisti: “La crisi attuale non è l’inizio della fine di Gordon Brown.
E’ l’inizio della fine del New Labour”. Ma la parte più interessante dell’analisi è quella che “scagiona” la crisi economica internazionale dall’accusa di essere la causa principale del crollo del governo. “Le due cose non hanno niente a che vedere tra loro. L’impopolarità del governo parte da molto lontano.
Per vincere ancora – conclude Finkelstein – il partito Laburista deve cambiare. E per cambiare deve accettare le critiche degli elettori ai suoi fallimenti”.
Non è meno dura la disamina di Alice Miles, con la differenza che in questo caso si auspica una veloce e onorevole exit strategy per Gordon Brown e un ricambio della leadership laburista. “Brown è un brav’uomo, ma non può guidare il Labour alle nuove elezioni. Non può comunicare, né ispirare.
E’ il lord Voldemort del partito Laburista, che invece ha bisogno del suo Harry Potter”. L’ironico paragone con il cattivissimo personaggio della saga del maghetto occhialuto non è casuale. Proprio pochi giorni fa J.K. Rowling aveva annunciato la donazione di un milione di sterline (1,4 milioni di euro) ai laburisti.
Tra fronde interne e attacchi mediatici, Gordon Brown cerca di sopravvivere alla “tempesta perfetta” che si sta abbattendo sul suo governo. David Cameron, invece, si gode i frutti del suo paziente lavoro di ricostruzione dei Tories e attende il momento in cui un esponentente del partito Conservatore tornerà a varcare la soglia del numero 10 di Downing Street.
30 settembre 2008
Il congresso annuale di Manchester, sul modello spettacolare delle convention americane, non ha sanato i problemi dei Laburisti inglesi. Gordon Brown, in fortissima crisi di consensi, ha tentato la carta dell’unità, dell’esperienza e dei frutti positivi di undici anni di governi laburisti a Downing Street: “E’ in momenti di incertezza come questi che noi dobbiamo essere e saremo come una roccia per stabilità e correttezza, cui la gente potrà appoggiarsi.
Voi sapete dove ho sbagliato, ammetto i miei errori e mi impegno a rimediare”. Un messaggio chiaro, rivolto più agli avversari interni che ai conservatori. Il problema più impellente dei Laburisti, infatti, non è tentare un difficile recupero nei sondaggi (i Tories di David Cameron godono di un solido vantaggio a doppia cifra), bensì ricucire i pericolosi strappi interni.
Il rischio, come proprio la recente storia del partito Conservatore insegna, è quello di una lunga fase di torpore e di oblio, dalla quale sarà difficile venir fuori. Ma la professione di umiltà di Mr. Brown non sembra aver sortito gli effetti sperati. Proprio nelle ore del congresso, infatti, il ministro dei Trasporti Ruth Kelly ha rassegnato le dimissioni, ufficialmente “per passare più tempo con la famiglia”.
Sarà anche vero, ma la defezione della quarantenne Kelly rimane comunque un ulteriore segno di debolezza di un partito che rischia la deriva del “si salvi chi può”, con i maggiorenti pronti ad abbandonare la nave prima che si inabissi completamente.
E non aiuta certo a placare gli animi inquieti dei Laburisti l’ascesa di David Miliband, ministro degli Esteri e rivale interno di Brown. La sfida è aperta in vista delle prossime elezioni generali, che si svolgeranno al più tardi nella primavera del 2010. Ma l’acceso dualismo laburista rischia di avere un esito clamoroso: il ritorno di Tony Blair.
In molti lo invocano, nella speranza di invertire un trend disastroso che, allo stato attuale, non ammette possibilità di recupero nei confronti del rampante David Cameron. Intanto i giornali d’Oltremanica attaccano ferocemente il governo, chiedendo a gran voce l’uscita di scena di Brown. Sul Times, ad esempio, due columnist di diversa estrazione politica tracciano un quadro impietoso.
Si tratta di Daniel Finkelstein, ex collaboratore dell’ultimo premier conservatore John Major, e Alice Miles, giovane editorialista di talento, vincitrice nel 2007 del premio Columnist of the Year. Finkelstein, memore dell’esperienza conservatrice vissuta in prima persona, mette in guardia i laburisti: “La crisi attuale non è l’inizio della fine di Gordon Brown.
E’ l’inizio della fine del New Labour”. Ma la parte più interessante dell’analisi è quella che “scagiona” la crisi economica internazionale dall’accusa di essere la causa principale del crollo del governo. “Le due cose non hanno niente a che vedere tra loro. L’impopolarità del governo parte da molto lontano.
Per vincere ancora – conclude Finkelstein – il partito Laburista deve cambiare. E per cambiare deve accettare le critiche degli elettori ai suoi fallimenti”.
Non è meno dura la disamina di Alice Miles, con la differenza che in questo caso si auspica una veloce e onorevole exit strategy per Gordon Brown e un ricambio della leadership laburista. “Brown è un brav’uomo, ma non può guidare il Labour alle nuove elezioni. Non può comunicare, né ispirare.
E’ il lord Voldemort del partito Laburista, che invece ha bisogno del suo Harry Potter”. L’ironico paragone con il cattivissimo personaggio della saga del maghetto occhialuto non è casuale. Proprio pochi giorni fa J.K. Rowling aveva annunciato la donazione di un milione di sterline (1,4 milioni di euro) ai laburisti.
Tra fronde interne e attacchi mediatici, Gordon Brown cerca di sopravvivere alla “tempesta perfetta” che si sta abbattendo sul suo governo. David Cameron, invece, si gode i frutti del suo paziente lavoro di ricostruzione dei Tories e attende il momento in cui un esponentente del partito Conservatore tornerà a varcare la soglia del numero 10 di Downing Street.