Ffwebmagazine
aprile 2009
Dimenticate le cripte polverose e buie, scordatevi i canini aguzzi e il mantello demodé. Basta paletti di frassino e collane d’aglio. Il vampiro del terzo millennio è cambiato, e il merito è tutto del fenomeno letterario-cinematografico del momento: la saga di Twilight, nata dalla penna di Stephenie Meyer. La giovane scrittrice americana, infatti, si è inventata, non senza un furbo ammiccamento alle mode giovanili del momento, un vampiro teenager, bellissimo, che ama le macchine sportive e vive, nonostante i suoi novant’anni, tutte le dinamiche e i problemi dell’universo adolescenziale statunitense.
Il successo planetario dei quattro romanzi ("Twilight", "New Moon", "Eclipse" e "Breaking Dawn") e del primo film ha creato un vero e proprio fenomeno di costume, che va al di là del semplice boom commerciale. Più di un critico, soprattutto in Italia, ha parlato di “Moccia all’americana”, di bassa letteratura per adolescenti in crisi di identità. La saga di "Twilight", che racconta la difficile storia d’amore (e morte) tra il vampiro Edward Cullen e la timida e problematica umana Bella Swan, è ben altro. È innanzitutto lo specchio dei tempi, una cartina di tornasole che ci può raccontare di quei milioni di adolescenti che nel mondo si sono avvicinati al lifestyle emo.
Si tratta di una derivazione di costume e di musica del punk degli anni Ottanta: ciuffone laterale, occhi truccati di nero, pelle bianchissima, jeans stretti e aderenti, fisico più esile possibile. Per questo motivo, c’è chi ironicamente preferisce parlare di emaciati, più che di emo. E poi c’è anche l’umore cupo, una certa “poetica” del vivere malinconicamente, una pericolosa attrazione per la morte. Ecco spiegata, dunque, la rinascita del genere “vampiresco” nella pop culture del Duemila. L’ultima ondata dai denti aguzzi era stata quella provocata da Dracula, lo splendido film di Francis Ford Coppola del 1992 con Gary Oldman e Winona Ryder. E qualche anno dopo, il serial tv Buffy l’Ammazzavampiri aveva timidamente riproposto il tema in chiave contemporanea, nonostante i cliché del sole che fa evaporare, del paletto nel cuore e dei canini aguzzi, tutta roba sparita nel nuovo “vampirismo” di Twilight.
Ma qual è il legame tra il vampirismo di Twilight e il fenomeno emo? A parte i vampiri, che oseremmo definire i padri di tutti gli emo, anche la protagonista del romanzo, Bella Swan, potrebbe essere ascritta a questa categoria. Capelli scuri, pelle chiarissima, forti difficoltà di comunicazione e socializzazione con le classiche figure standard dei teenagers americani (la cheerleader, lo sportivo, il secchione, la reginetta della scuola). Se non è emo, poco ci manca. E il clima cupo e piovoso di Forks, la cittadina dello Stato di Washington che fa da scenario alle vicende del romanzo, mette la classica ciliegina sulla torta. Il tutto è così cupo, così dark, così gothic, che è addirittura il vampiro a portare un po’ di allegria, di luce, di voglia di vivere nella vita di Bella. Basti pensare alla casa in cui vive la famiglia di vampiri: niente manieri spettrali e oscuri, ma una splendida abitazione ultramoderna sulle rive di un fiume, con grandissime vetrate e arredamento all’ultimo grido. E poi il vampiro di Twilight non si squaglia al sole, anzi, i raggi a contatto con la sua pelle provocano uno strabiliante effetto iridescente. Eppure nel libro c’è malinconia, inquietudine. Perché?
Sarà pure un luogo comune che viene ritirato fuori ogni generazione, ma gli adolescenti dei nostri tempi, in effetti, vivono una situazione emozionale e sociale al limite dell’isolamento volontario. Si sentono così poco capiti dal mondo che li circonda, che si chiudono completamente a ogni rapporto con l’esterno. E internet, ovviamente, ha aiutato questa “deriva”. Anzi, potremmo dire che l’ha fatta letteralmente esplodere. Proprio le community virtuali sono gli unici, o quasi, luoghi di socializzazione, seppur filtrata, asettica, fredda e fuorviante. Tre anni fa fece scalpore, ad esempio, il caso di un ragazzo emo che aveva annunciato su MySpace il proprio suicidio. Da allora altri casi del genere sono stati riportati dai mass media, che si sono sempre più occupati del fenomeno.
Se persino il patinato Time qualche tempo fa ha analizzato la cultura (o sottocultura?) emo, vuol dire che gli effetti sulla società giovanile ci sono e si fanno sentire. L’isolamento emo è prima di tutto emozionale. Il disagio esistenziale viene sfogato attraverso la musica e l’abbigliamento, con pochissimo spazio per il confronto diretto, il dialogo. C’è anche chi ha parlato, a questo proposito, di un’evoluzione à la page dei nerd, gli esclusi dalla massa, magari perché troppo bravi a scuola o semplicemente perché non rientrano nei canoni di bellezza dei nostri tempi. Anche il concetto del reietto, dunque, seguirebbe i dettami della moda. Esclusi sì, ma con stile.