Continua da venerdì la protesta dei lavoratori inglesi contro le aziende che hanno assunto manodopera italiana e portoghese. I sindacati britannici, al grido di “British jobs for British workers”, stanno cavalcando uno sciopero selvaggio che punta il dito soprattutto contro la legislazione europea sulla libera circolazione dei lavoratori nei confini dell’Unione.
Tutto è cominciato alle raffinerie Lindsey, nel Lincolnshire: la Irem, un’azienda italiana, dopo aver vinto regolarmente un appalto per la realizzazione di una raffineria diesel, ha deciso di affidare il lavoro a operai italiani altamente specializzati. La protesta degli inglesi non si è fatta attendere e si è estesa ad ogni angolo del Regno Unito.
Il comportamento accomodante dei sindacati ha fatto il resto, con una serie di scioperi selvaggi che sanno tanto di protezionismo quasi xenofobo. Gordon Brown, infatti, si è subito premurato di prendere le distanze dalle manifestazioni, definendole “indifendibili” e invitando sindacati e opinione pubblica a evitare atteggiamenti protezionistici.
Ma non tutti, all’interno del governo di Sua Maestà, la pensano così. Allan Johnson, ministro della Salute con un passato da sindacalista, se la prende con le sentenze della Corte europea di giustizia, colpevole, a suo avviso, “di aver distorto la legislazione comunitaria in materia di libera circolazione dei lavoratori”, permettendo alla manodopera straniera di aggirare le norme nazionali su salario e condizioni di lavoro.
Ancora più dura la posizione di Peter Hain, ex ministro del Lavoro, secondo il quale appoggiare le norme continentali sul lavoro è stata una mossa sbagliatissima (letteralmente “badly wrong”). Le prese di posizione dei politici laburisti, però, vanno viste in chiave elettorale, in un periodo in cui il New Labour è dato dai sondaggi a 15 punti dai Tories di David Cameron.
Il partito di Brown, insomma, non può permettersi di inimicarsi ancora di più l’opinione pubblica, rischiando un ulteriore tracollo nei consensi e rafforzando la previsione di una larga vittoria conservatrice alle prossime elezioni generali. Ma nel clima demagogico e xenofobo che rischia di riportare l’Inghilterra a un protezionismo d’altri tempi, qualche voce assennata si sente ancora.
E’ il caso di Nick Clegg, leader dei Liberaldemocratici, secondo il quale la colpa è dell’ormai noto slogan lanciato tempo fa da Gordon Brown (“British jobs for British workers”), palesemente in contrasto con le normative comunitarie e che ha acceso una protesta insensata e controproducente.
E intanto si avvicina la visita di Gordon Brown in Italia, durante la quale l’inquilino di Downing Street riaffermerà sicuramente l’indifendibilità delle proteste anti-italiane. Ma per metterle a tacere potrebbe non bastare la voce pur autorevole del primo ministro, in un Paese in piena recessione, con riaccese intemperanze sindacali di thatcheriana memoria.
L’opinione pubblica è in gran parte d’accordo con i motivi delle proteste e persino qualche voce tendelziamente liberale vacilla sotto i colpi della demagogia a uso e consumo degli interessi elettorali.
Tutto è cominciato alle raffinerie Lindsey, nel Lincolnshire: la Irem, un’azienda italiana, dopo aver vinto regolarmente un appalto per la realizzazione di una raffineria diesel, ha deciso di affidare il lavoro a operai italiani altamente specializzati. La protesta degli inglesi non si è fatta attendere e si è estesa ad ogni angolo del Regno Unito.
Il comportamento accomodante dei sindacati ha fatto il resto, con una serie di scioperi selvaggi che sanno tanto di protezionismo quasi xenofobo. Gordon Brown, infatti, si è subito premurato di prendere le distanze dalle manifestazioni, definendole “indifendibili” e invitando sindacati e opinione pubblica a evitare atteggiamenti protezionistici.
Ma non tutti, all’interno del governo di Sua Maestà, la pensano così. Allan Johnson, ministro della Salute con un passato da sindacalista, se la prende con le sentenze della Corte europea di giustizia, colpevole, a suo avviso, “di aver distorto la legislazione comunitaria in materia di libera circolazione dei lavoratori”, permettendo alla manodopera straniera di aggirare le norme nazionali su salario e condizioni di lavoro.
Ancora più dura la posizione di Peter Hain, ex ministro del Lavoro, secondo il quale appoggiare le norme continentali sul lavoro è stata una mossa sbagliatissima (letteralmente “badly wrong”). Le prese di posizione dei politici laburisti, però, vanno viste in chiave elettorale, in un periodo in cui il New Labour è dato dai sondaggi a 15 punti dai Tories di David Cameron.
Il partito di Brown, insomma, non può permettersi di inimicarsi ancora di più l’opinione pubblica, rischiando un ulteriore tracollo nei consensi e rafforzando la previsione di una larga vittoria conservatrice alle prossime elezioni generali. Ma nel clima demagogico e xenofobo che rischia di riportare l’Inghilterra a un protezionismo d’altri tempi, qualche voce assennata si sente ancora.
E’ il caso di Nick Clegg, leader dei Liberaldemocratici, secondo il quale la colpa è dell’ormai noto slogan lanciato tempo fa da Gordon Brown (“British jobs for British workers”), palesemente in contrasto con le normative comunitarie e che ha acceso una protesta insensata e controproducente.
E intanto si avvicina la visita di Gordon Brown in Italia, durante la quale l’inquilino di Downing Street riaffermerà sicuramente l’indifendibilità delle proteste anti-italiane. Ma per metterle a tacere potrebbe non bastare la voce pur autorevole del primo ministro, in un Paese in piena recessione, con riaccese intemperanze sindacali di thatcheriana memoria.
L’opinione pubblica è in gran parte d’accordo con i motivi delle proteste e persino qualche voce tendelziamente liberale vacilla sotto i colpi della demagogia a uso e consumo degli interessi elettorali.
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