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giovedì 26 novembre 2009

Perché il Ringraziamento non è solo il pranzo col tacchino

Ffwebmagazine
26 novembre 2009
Un tacchino ripieno, abbondante salsa di mirtilli, patate dolci con zucchero, una tavola riccamente imbandita e tanta gente attorno. Ecco cosa conosciamo del giorno del Ringraziamento, forse la festa più sentita e celebrata negli Stati Uniti d’America. Del Thanksgiving Day abbiamo un’immagine stereotipata, figlia dei film e delle serie televisive a stelle e strisce. Il nostro immaginario collettivo, dunque, si è nutrito di tacchino e riunioni di famiglia, ignorando completamente l’origine e il vero significato della festa.

Il 16 dicembre 1620, il Mayflower dei Padri pellegrini era giunto sulle coste del Massachussets alla ricerca di un posto dove poter vivere secondo i dettami del loro credo religioso e lontano dalle imposizioni della Chiesa anglicana. Gli inizi della loro avventura in terra americana furono terribili: quasi la metà di loro non superò il primo inverno. Mancava il cibo, non si sapeva come far fruttare la terra, non si conoscevano molte specie animali e vegetali presenti in America. È qui che subentra la leggenda dalla quale trae origine il giorno del Ringraziamento. Si narra, infatti, che i nativi americani (probabilmente Irochesi) abbiano accolto gli immigrati inglesi (perché di immigrati stiamo parlando) nel migliore dei modi, insegnando loro a cacciare, a seminare e a cuocere i mirtilli e altri frutti. L’abbondanza del raccolto successivo permise ai Padri pellegrini di rafforzare la loro presenza e dare il la a quella che successivamente diverrà una vera e propria colonizzazione.

Ma all’epoca, a quanto pare, gli immigrati inglesi non avevano ancora deciso di sterminare gli indiani d’America e organizzarono una festa di ringraziamento per l’abbondanza dei raccolti, alla quale invitarono anche gli Irochesi. Furono loro, sempre secondo la leggenda, a portare tacchino e mirtilli, che poi sarebbero diventati gli ingredienti principali del Thanksgiving. Una festa di accoglienza, dunque, e di contaminazione reciproca tra indigeni e immigrati, a simboleggiare una collaborazione tra diverse culture e religioni che non può che portare benefici a entrambi.

Successivamente le cose cambiarono, bisogna ammetterlo, e il rafforzamento della presenza bianca e cristiana in quelle terre si accompagnò a una politica di sterminio dei nativi americani, a quello che possiamo tranquillamente definire come uno dei peggiori genocidi della storia. Gli americani dei giorni nostri lo sanno perfettamente, hanno fatto i conti con il loro passato e hanno ammesso colpe e responsabilità. Basti pensare al giorno del Ringraziamento del 1988, quando quattrocento persone (molte delle quali nativi americani) celebrarono la festa nella Chiesa di Saint John The Divine, a New York, per riaffermare il ruolo fondamentale degli indiani non solo nell’origine del Thanksgiving Day ma anche, e soprattutto, nell’insediamento dei primi coloni provenienti dall’Inghilterra.

Ricordare quella festa improvvisata una sera d’autunno del 1621 è importante, e non solo per i nostri amici americani. Quell’incontro tra due mondi così diversi, tra culture che di lì a poco si sarebbero scontrate sanguinosamente, è un seme di tolleranza da non disperdere. L’accoglienza dei migranti, soprattutto per un Occidente che si proclama a gran voce cristiano, dovrebbe essere alla base del nostro vivere civile. Con il rispetto delle leggi e della nostra cultura, ovviamente, ma senza dimenticare che nel corso della storia tutti, ciclicamente, siamo stati migranti, “pellegrini” alla ricerca di una vita migliore. Se pensassimo ai barconi che solcano il canale di Sicilia come a moderni Mayflower, forse riusciremmo a capire meglio le speranze e le attese di chi li affolla. E allora potremmo, simbolicamente, insegnare loro a “cacciare, seminare e procurarsi il cibo”, per poi festeggiare insieme una prospera abbondanza figlia dell’aiuto reciproco. Sostituendo al tacchino, beninteso, i nostri ben più succulenti piatti tradizionali.

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