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lunedì 2 novembre 2009

Alda, tra le brutture del mondo e la grandezza del Cielo

Ffwebmagazine
2 novembre 2009
Muor Giove, e l'inno del poeta resta, diceva Giosué Carducci. La notizia della morte di Alda Merini, quindi, è senz'altro dolorosa, ma non è il suo addio definitivo al mondo. Non può esserlo, se è vero come è vero che le sue poesie, quella lucida follia frutto vermiglio e lacerato di interminabili anni di internamento psichiatrico, ci accompagneranno fino alla fine dei tempi, come quelle di Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi o Montale. Sì, perché Alda Marini non è stata soltanto una reduce di quell'inferno chiamato manicomio. È stata molto di più, a dispetto di tv e giornali che le avevano affibbiato il ruolo mediaticamente utile e spendibile della poetessa folle. Senza dubbio quell'esperienza ha inciso, e profondamente, sul suo percorso umano e artistico. Ma le opere di Alda Merini travalicano persino un'esperienza indelebile del genere. Perché la poesia è poesia, perché non è terrena ma frutto di un animo che anela al trascendente, perché un poeta è una semidivinità sospesa tra le brutture del mondo e la grandezza del Cielo.

Alda Merini era tutto ciò: un essere umano fragile che con le sue poesie riusciva a raggiungere vette ineguagliabili, che trasformava il dolore di una vita in arte, con quel suo stile così carnale, passionale, viscerale, che trasporta e stravolge, conquista e ammalia. E poi la sua Fede nell'Uno al di sopra del bene e del male, anch'essa così diversa dalla normalità, a volte ribelle e critica ma sempre viva e rigogliosa.

Gli ultimi anni della sua vita la poetessa milanese li ha vissuti attorniata da un calore che meritava tutto e che per troppo tempo le era stato negato. Si erano finalmente mobilitati intellettuali e maitre-à-penser, per rendere il dovuto onore a uno dei più grandi poeti del nostro Novecento. Poi potremmo parlare anche delle strumentalizzazioni, dei tentativi di chi sperava di poter ascrivere Alda Merini a una parte politica. I salotti milanesi radical chic ci avevano provato, pensando che il genio poetico potesse essere patrimonio esclusivo di qualcuno a discapito di qualcun altro. Niente di più sbagliato, niente di più lontano dalla vera essenza dell'Arte. Piuttosto, la regola, se proprio una regola serve, dovrebbe essere la seguente: “Ci piace, è nostro”.

E così dovrebbe essere anche per Alda Merini, che nella sua poesia irregolare, genialmente confusa, libera e libertaria, potrebbe entrare di diritto nel Pantheon culturale della nuova destra. Senza strumentalizzazioni, per carità. Niente appropriazioni indebite di geni imperituri. Solo un segno di riconoscenza nei confronti di una poetessa che da oggi entra nell'Olimpo della cultura italiana.

Un unico rammarico, però, c'è: il mancato Nobel. Ma da un'Accademia di Svezia che compie scelte spesso discutibili, forse non ci si poteva aspettare niente di diverso. «Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita». Parola di una donna, di una poetessa, di uno spirito libero e irregolare che ci mancherà terribilmente.

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