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venerdì 30 ottobre 2009

Altro che Asterix. Noi stiamo con Cesare

Ffwebmagazine
fine ottobre 2009

Asterix? No, grazie, preferiamo Cesare. Proprio oggi cade il cinquantenario dall’esordio del fumetto di Goscinny e Uderzo, uscito il 29 ottobre 1959 sulle pagine del periodico francese Pilote, e dappertutto è un fiorire di celebrazioni, di interpretazioni positive di una saga che, a guardarla bene, di positivo ha davvero poco. Per intenderci: nella perenne sfida tra le legioni romane e i forsennati abitanti del villaggio, noi stiamo con Cesare, con la Roma simbolo di modernità e multiculturalità, con quello che diventerà l’Impero romano, che non è assoggettamento ma contaminazione e integrazione. Quello stesso Impero che è stato usato, strumentalizzato ideologicamente e politicamente, esaltato o bistrattato per convenienza, e che invece ha rappresentato il primo modello multiculturale degno di nota della storia, ben prima dell’epopea americana. Non ci sarebbe il mondo come lo conosciamo oggi senza quel melting pot formidabile nato sulle rive del Tevere. Altro che Roma ladrona.

Al contrario, il villaggio gallo di Asterix e Obelix, da sempre elevato a modello di resistenza all’omologazione, è piuttosto l’esempio di una cultura identitaria stantìa, il simbolo di una difesa della tradizione a oltranza e fine a se stessa, il monumento alla paura del nuovo e del diverso. Altro che eroici resistenti, custodi di una purezza antica. I Galli che resistono all’avanzata di Cesare sono conservatori, nel senso più deleterio del termine, sono oltranzisti localisti, nemici a prescindere dello “straniero” e di ogni forma di melange culturale. Diciamolo pure senza problemi: sono leghisti. È la cultura dei sindaci-sceriffi che esacerbano gli animi e lanciano anatemi sull’ondata multietnica e multiculturale, dei respingimenti senza se e senza ma. E Cesare, invece, rappresenta l’Italia globale, quella inevitabile, quella che ci piacerebbe vedere all’orizzonte ma che a qualcuno fa così paura, quella della generazione Balotelli.

Le analogie con il presente sono davvero sorprendenti. In una vignetta della saga, ad esempio, Asterix vede un acquedotto romano, oggi come allora esempio magnifico di architettura e ingegneria, ed esclama: «Sono pazzi questi romani! Stanno rovinando le nostre valli». È la versione fumettistica del No Tav, del not in my back yard, di chi si trincera dietro la retorica del federalismo strapaesano per nascondersi all’altro, al progresso, al futuro. Di chi non vuole che la propria vita abitudinaria e spesso banale venga sconvolta da agenti esterni, negativi o positivi che siano. 

La vita di quei leghisti ante litteram, dunque, è intrisa di tradizionalismo e di totale chiusura nei confronti dell’innovazione. Basti pensare al povero Assurancetourix, il bardo, musico e poeta che tutti emarginano perché, a loro dire, è stonato. In realtà, Assurancetourix altro non è che un jazzista, un musicista irregolare, un innovatore, quasi un punk, un artista che non ha bisogno di essere intonato per sentirsi libero di esprimersi. E i suoi concittadini che lo disprezzano e lo sfottono somigliano tanto a chi, all’interno di qualsiasi regime totalitario, ha sempre osteggiato quella che definivano “musica degenerata”, come i nazisti strenui nemici del jazz e del suono della tromba modificato da aggeggi “infernali”. Assurancetourix diventa, di conseguenza, il vero resistente, il creativo del gruppo. È l’unico che sperimenta, che si lancia nella mischia di un mondo in trasformazione, che crede nell’enorme potenzialità della contaminazione.

Ma i riferimenti storici sono numerosi. Quel villaggio nel cuore della Gallia in fondo è vagamente vandeano. Come la Vandea, che tanto è piaciuta e piace a una certa destra, è un’enclave tradizionalista che disprezza un processo storico che cancella l’ancien regime, e con esso la tradizione, che sia buona o cattiva a quel punto non ha più molta importanza. Ma il mondo inevitabilmente cambia e si adatta alle nuove condizioni storiche, accoglie e non respinge. Sia chiaro: nessuno sta mettendo in discussione il valore incontestabile della tradizione, molto spesso utile motore anche per il presente e il futuro. C’è però una tradizione portata all’eccesso che diventa bacchettonismo, che si arrocca su posizioni vetuste e anacronistiche, che non coglie i cambiamenti storici, sociali e culturali e li osteggia, li rifiuta. La destra che ci piace non è questa, ma quella di Marinetti, dello slancio impavido e quasi un po’ sconsiderato verso il futuro. E il padre del Futurismo, ne siamo certi, avrebbe buttato via Asterix, Obelix e tutto il resto, nell’immondezzaio delle cose superate, inutili, incompatibili con il domani.

Come potremmo, dunque, celebrare i cinquant’anni di un fumetto così tremendamente attuale e dal messaggio opposto rispetto all’Italia che vorremmo, che sogniamo, che riteniamo l’unica possibile? 
Se è vero, come è vero, che non moriremo leghisti, oggi non possiamo far altro che sperare che i goffi centurioni di Giulio Cesare scoprano il segreto della pozione preparata dal druido Panoramix e riescano, finalmente, a contagiare tutti con la loro voglia di globalità. Forse è una speranza solo fumettistica. Ma forse no.

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