Ffwebmagazine
ottobre 2009
Con Russia, India e Cina compone il Bric, il gruppo a quattro delle potenze economiche emergenti; sta lottando per ottenere un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu che verrà; ospiterà i Mondiali di calcio del 2014 e i Giochi olimpici del 2016: nessuno, fino a pochi anni fa, avrebbe pensato che stiamo parlando del Brasile. Il più vasto Stato dell’America meridionale non è più soltanto il paese della samba, del Carnevale, delle favelas, dei poveri ma allegri. È in corso un profondo cambiamento economico e sociale, con prospettive nel lungo periodo che fanno sperare un boom senza precedenti. In Sudamerica, a parte l’Argentina pre-crack, nessun paese era riuscito a sfruttare appieno le sue potenzialità, uscendo dalla proverbiale instabilità politica e istituzionale che ha fatto dell’altra metà d’America uno dei posti al mondo con la più alta concentrazione di colpi di Stato, guerriglie e dittature di vario colore.
Il Brasile sta riuscendo a invertire la rotta e il merito, ammettiamolo pure, è anche e soprattutto del presidente Lula. Quando l’ex sindacalista di sinistra venne eletto, due diverse curve da stadio fecero sentire la loro: da un lato i fan dell’ultrasinistra e dell’America latina rossa, che inneggiavano al presidente compagno, pronto a percorrere sentieri radicali e anticapitalisti; dall’altro quelli che temevano una dittatura socialista, un regime da guerriglia pronto a espropri e nazionalizzazioni selvagge. Niente di tutto questo, per fortuna. Luiz Inácio da Silva detto Lula ha dimostrato buonsenso e una buona dose di realismo politico. E i risultati si vedono, a distanza di poco meno di sette anni dall’insediamento del presidente.
Proprio in questi giorni cade il centottantasettesimo anniversario dell’indipendenza del Brasile dal Portogallo e la recentissima assegnazione delle Olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro è il regalo migliore per festeggiare la ricorrenza. La vittoria contro la Chicago di Obama, la supertecnologica Tokyo e la vivace e giovane Madrid è un innegabile segno dei tempi. C’è un mondo dalle mille potenzialità, nascosto fino a oggi tra le pieghe della storia, che ha voglia di riemergere, di far fruttare i propri talenti. Rio de Janeiro è da sempre meta di vacanze all’insegna del divertimento e della trasgressione. L’intero Brasile, in realtà, è stato usato da milioni di turisti occidentali come valvola di sfogo, come luogo adatto a scaricare tensioni, repressioni e tabù di una vita. E allora, in barba al rispetto per donne e, purtroppo, ragazzini, il turismo sessuale verdeoro è uno dei più floridi (insieme a quello thailandese). L’etichetta di popolo povero ma allegro ha fatto dei brasiliani i giullari del mondo, come se fossero lì solo per quello, per farci divertire senza limiti di decenza e di legge.
E invece bisognerebbe ricordare che il Brasile è un paese dalla storia ricca di fenomeni e personaggi meravigliosi, è il terreno di coltura nel quale sono fioriti movimenti culturali e musicali di altissimo livello, è la patria della saudade che, lungi dall’essere una banale e non meglio precisata “nostalgia”, è lo struggente sentimento di triste inquietudine di un popolo che ha sofferto e continua a soffrire per colpe non sue. È comprensibile, dunque, il senso di orgoglio che ha pervaso, dopo la scelta del Cio, la spiaggia di Copacabana, i vicoli colorati di Salvador de Bahia, i villaggi amazzonici. È il riscatto (almeno simbolico) di una nazione grande ventotto volte l’Italia che si è stufata di far da Cenerentola e di “sala giochi” per adulti.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che i problemi sociali ed economici del paese carioca sono ancora lì, urgenti e drammatici come sempre. Le favelas sono ancora colme all’inverosimile di gente che vive nel degrado e nell’illegalità; la prostituzione minorile (maschile e femminile) è diffusissima e trova un bacino d’utenza vergognoso nei turisti occidentali; le disuguaglianze sociali persistono; le forze di polizia hanno dimostrato più volte la loro troppo facile corruttibilità. Però qualcosa è cambiato davvero negli ultimi anni.
E se oggi parliamo del Brasile come di una potenza economica in divenire che va tenuta in considerazione anche nei consessi internazionale, qualcosa vorrà pur dire. Il presidente Lula, nonostante abbia deluso gli oltranzisti di sinistra, ha dimostrato una capacità politica senza precedenti a quelle latitudini. Il ruolo di guida del subcontinente latinoamericano, per molto tempo appannaggio di Buenos Aires, è ormai saldamente nelle mani di Brasilia. L’allegro e straccione danzatore di samba si è cambiato d’abito. Continua a dimenarsi tra le vie di Rio ma con una consapevolezza nuova; la consapevolezza di chi sa che, come recitava lo slogan di Rio 2016) é a vez do Brasil (è il turno del Brasile).
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