Ffwebmagazine
20 dicembre 2009
Povia perde il pelo ma non il vizio. Non pago delle polemiche dello scorso anno su Luca che “era gay e ora sta con lei”, nel 2010 tornerà a Sanremo con un brano dal titolo evangelico: La verità. La verità in questione, a quanto pare, è quella sul caso Englaro. Altro tema scottante, altro tema di attualità portato sul palco dell’Ariston. Sembrerebbe che il cantante milanese sia particolarmente sensibile agli argomenti del dibattito pubblico del nostro paese. Poco male, se non fosse che ogni volta la solfa sia sempre la stessa: un lungo e stereotipato sermone pieno zeppo di certezze granitiche su argomenti così delicati da coinvolgere nel dibattito per anni fior di esperti in tutto il mondo dibattono da anni.
Tralasciando il merito delle questioni (omosessualità, eutanasia e chissà cos’altro in futuro) la cosa che ci sembra riprovevole è l’opportunismo di Povia, la sua fame bulimica di fatti di cronaca. È una sete che sa tanto di vampirismo, con il vincitore del Festival del 2006 (con la memorabile canzone sul becco dei piccioni con verso annesso) pronto a sfoderare i canini e ad accanirsi sulla questione del momento.
Non siamo tra quelli che credono che in fondo “sono solo canzonette” e via dicendo. La canzone di denuncia e di protesta ha in Italia una tradizione lunga e gloriosa. La generazione dei cantautori (Tenco, Bindi, De André, De Gregori e via cantando) ha regalato alla nostra storia musicale delle vere e proprie pietre miliari. Magari intrise di ideologia, ma comunque espressione alta della sapienza musicale nostrana. Povia, invece, il lato musicale lo trascura, lo mette in secondo piano. La cosa importante per lui è il fatto in sé, il tema trattato. Melodia orecchiabile, testo al limite dello Zecchino d’Oro, ma tante polemiche create ad arte per attirare l’attenzione su di sé. E ogni anno è la stessa storia, con le pagine degli spettacoli dei giornali piene di botte e risposte, di dichiarazioni di questa o quella associazione e repliche divertite e compiaciute dello stesso cantante. Sì, perché alle provocazioni vampiresco-musicali di Povia ci caschiamo tutti, ogni benedetto anno. Anche noi, in questo momento, stiamo facendo il suo gioco.
Ma il conte Vlad dell’Ariston esce una volta l’anno dal suo castello in Transilvania (Povia si tranquillizzi: non è il nome di una signorina di via Gradoli) e sbarca sulla Riviera ligure con i suoi cartelli da bacio Perugina, con la sicumera di chi crede (beato lui) di avere tutte le verità in tasca. Chissà cosa ci dirà su Eluana. Chissà qual è questa “Verità” che sta per regalarci in mondovisione. Non si conosce ancora il testo della canzone, per fortuna. Almeno non ci potranno dire che è una polemica strumentale perché le tesi di Povia sono più o meno distanti dalle nostre.
Quello che proprio non riusciamo a sopportare è l’accanimento del cantante sui fatti di cronaca, altro che plastico di Cogne. Chi organizza il Festival della canzone italiana, dunque, dovrebbe rendersi conto che la polemica a tutti i costi non giova alla nostra musica. Ma soprattutto non giova al nostro dibattito pubblico. Su temi così importanti e spinosi, da trattare con la massima delicatezza, non ci servono portatori pentagrammatici di verità assolute. Piuttosto, si discuta pacatamente per trovare le soluzioni più giuste e che tengano conto dei diritti di ciascuno. Tra qualche mese assisteremo all’ennesimo siparietto “poviesco”. Rassegnamoci, dunque, perché anche a Sanremo la Verità è una. E chi non è d’accordo è un provocatore sovversivo.
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