Ffwebmagazine
30 dicembre 2009
17 novembre 2008 – 16 novembre 2009: sono le due date d’uscita (a meno di un anno di distanza) dei film Twilight e New Moon. I due capitoli iniziali della saga nata della penna di Stephenie Meyer hanno sbancato i botteghini di tutto il mondo, con un incasso di 385 milioni di dollari per il primo e addirittura di 662 milioni per il secondo. Un fenomeno globale, dunque, che non è solo cinematografico.
Le ragioni del successo di Twilight vanno ricercate nei messaggi che le pellicole (e prima ancora i libri) hanno veicolato. Sì, messaggi. E nemmeno di poco rilievo. Pur trattandosi di un universo creato a uso e consumo di adolescenti romantici (ma non confondiamoli con i seguaci di Moccia), con accenni dark-gothic e strizzatine d’occhio alla moda emo, tra le pagine della Meyer e le scene interpretate dagli idoli delle folle Pattinson e Stewart c’è molto di più. Innanzitutto c’è l’accettazione del diverso come approccio naturale nelle relazioni interpersonali. Quando Bella (questo è il nome della protagonista) scopre che il ragazzo che le fa girare la testa è un vampiro, infatti, non si chiude a riccio, non organizza ronde livorose e spaventate nella piovosa cittadina (oseremmo dire quasi padana) di Forks, non reprime il sentimento. Semplicemente cerca di capire, si documenta, vuole conoscere di più e meglio l’altro, quel diverso da se che dalla maggior parte della gente verrebbe visto come una minaccia mortale.
Il diverso come arricchimento reciproco: lei, umana, gli insegna cos’è l’amore, gli fa riscoprire un cuore che batte all’impazzata dopo 90 anni di vita senza vita; lui, vampiro, le fa provare cose che nessun altro coetaneo “normale” era riuscito a farle provare prima, scuotendola da quell’apatia tipica di molti adolescenti occidentali. Metafora culturale e politica? Perché no. In fondo i messaggi socioculturali non devono provenire a tutti i costi da film dichiaratamente impegnati o d’essai. Stiamo parlando di due film commerciali, dunque? Sì, anzi di due splendide favole nazionalpopolari, di quelle che ci piacciono perché arricchiscono senza polverose sovrastrutture ideologiche la nostra visione del mondo. Altro che Natali in giro per il mondo.
Bella Swan, dunque, è il prototipo del cittadino perfetto. Debole, insicuro, pieno di dubbi e paure, ovviamente. Ma non per questo arroccato su posizioni di chiusura, non per questo impegnato a proteggere solo il proprio orticello. È la cultura del Nimby (Not in my backyard) che diventa Pimby (Please, in my backyard) e provoca una reazione a catena di esperienze nuove, esaltanti, arricchenti, che forgiano i caratteri dei protagonisti e li fanno interagire fino a influenzarsi a vicenda. Un’osmosi benefica che dal fantastico mondo dei vampiri e dei lupi mannari potrebbe essere tranquillamente traslata nel più terreno campo dei rapporti tra cittadini e immigrati, etero e omosessuali, credenti e non credenti, diverse fazioni politiche.
E, come se non bastasse, il bel tenebroso Edward è un vampiro buono. Niente sangue umano per lui e il resto della sua famiglia (i Cullen). Solo animali, cacciati nei boschi dello Stato di Washington come milioni di altri americani (magari iscritti alla National Rifle Association). Niente canini aguzzi, né cripte umide e polverose. Vampiri “normali”, che vogliono vivere vite “normali”, accanto agli esseri umani. E il bello, è questa la cosa più importante, è che si tratta di una pura e semplice scelta.
Buoni per scelta, dunque, nell’epoca in cui i buoni sentimenti e le buone intenzioni vengono confuse con il buonismo di maniera, con il politically correct. Quasi come se essere buoni fosse una colpa, un marchio d’infamia indelebile negli anni del “cattivismo” e dell’aggressione che spadroneggia in politica e nel mondo dei media. Le creature più spaventose dell’immaginario collettivo della storia dell’uomo (dalla leggenda di Vlad l’Impalatore a Francis Ford Coppola, passando per i romanzi di Bram Stoker) sceglie di essere buono. Questo è, se vi pare. Con buona pace di chi preferirebbe il trionfo a tutti i costi del politicamente scorretto, ormai così abusato da esser diventato conformismo allo stato puro.
Dialogo, accettazione del diverso, buoni sentimenti. Queste le stelle polari dei protagonisti della saga di Twilight. E se milioni e milioni di giovani (e non) in ogni angolo del mondo hanno affollato le sale cinematografiche, qualcosa vorrà pur dire. Forse che gli individui (e soprattutto le nuove generazioni) sono stanchi del muro contro muro perenne, degli steccati ideologici, culturali, sociali, economici, religiosi, sessuali, che ammorbano e offuscano le nostre vite. Twilight è un inno alla contaminazione. E lo si vedrà ancora meglio nei due restanti capitoli della saga. Nel quarto libro (che diventerà film tra due anni) si raggiungerà l’apice del “meticciato”, un monumento benefico a quel relativismo che, se non è estremizzato e portato all’esasperazione, non è affatto un concetto negativo.
La cosa buffa, forse triste, è che nel 2009 questi concetti dobbiamo farceli insegnare da un vampiro bello e ricco e da una imbranata e timida adolescente americana. Mala tempora currunt?
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