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mercoledì 21 aprile 2010

E con l'addio a Raimondo, è finita la storia della tv

Ffwebmagazine
21 aprile 2010
Con la morte di Raimondo Vianello si è definitivamente arrivati alla fine della stora televisiva. Prima Corrado nel 2000, poi Mike Bongiorno solo pochi mesi fa, e ora appunto Vianello. La tv che ha unito l'Italia non c'è più, va in soffitta per sempre, diventa materiale d'archivio da tirare fuori di tanto in tanto, magari nei pomeriggi afosi e annoiati dell'estate italiana, quando i nuovi volti noti del piccolo schermo vanno in vacanza e svuotano i palinsesti. La fine della storia televisiva italiana era, ovviamente, inevitabile. I personaggi che tennero a battesimo il tubo catodico nel nostro paese non erano immortali. Il vuoto che hanno lasciato, e va detto al di fuori di ogni discorso retorico o frase di circostanza, però è davvero incolmabile. Il caso di Vianello è emblematico, forse più di quello di Mike Bongiorno o Corrado Mantoni. Nel 1954, quando la Rai iniziò le trasmissioni, lui c'era già e con Ugo Tognazzi realizzò Un, Due, Tre, il programma televisivo più importante della storia.

Qualcuno obietterà dicendo che no, non è così, perché c'è Lascia o Raddoppia?, Canzonissima, i grandi show di Mina, i Fantastico e i Sanremo di Baudo. E invece nessuno, dal 1954 a oggi, è riuscito a fotografare meglio di Vianello e Tognazzi l'essenza stessa dell'identità italiana. Quando la censura era censura davvero, quando non si poteva nemmeno dire "membro del Parlamento" per non turbare le pudiche sensibilità dell'Italia postbellica delle due Chiese (cattolica e comunista), i due attori prendevano in giro i luoghi comuni, la retorica, l'approccio iperpedagogico della Rai. Sfottevano il Mario Soldati dei viaggi sul Po, dell'inchiesta sulla lettura tra i nostri connazionali; scimmiottavano le inchieste sulla donna che lavora, vista all'epoca come un esemplare raro, una mosca bianca, un fenomeno da studiare sociologicamente (resta insuperato e insuperabile lo sketch sulla mondina e sulla mondana).

Più delle suddette inchieste, più dei programmi di Alberto Manzi, più di qualsiasi altra cosa, Un, Due, Tre ha unito il paese. Non linguisticamente, né socialmente. Lo ha unito dando a tutti, da Sondrio a Ragusa, il senso dell'umorismo. Meno di dieci anni erano passati dalla tragedia bellica e c'era ancora ben poco da ridere. Il boom si stava innescando, ma non era ancora esploso. L'Italia stava ancora ricostruendo case, palazzi, istituzioni democratiche e soprattutto stava ricostruendo un'anima. Ebbene, il contributo leggero ma sferzante, cinico e sfacciato di Vianello e Tognazzi è stato decisivo.

Quella televisione è definitivamente scomparsa, dicevamo, il 15 aprile 2010. Non c'è più nessun reduce di quella fase pionieristica. Non c'è nessun Vecchio Saggio che possa continuare a testimoniare cos'era quell'Italia, cos'era quella televisione, cos'era quello spirito pionieristico che ha ricostruito una nazione. Oggi la tv è tutt'altro. È il Grande Fratello. È l'Isola dei Famosi. È la Pupa e il Secchione. È un pomeriggio domenicale trash e urlato. È uno Show dei Record che tratta la gente diversamente abile come un fenomeno da baraccone da premiare con una medaglia e mostrare al pubblico perché ne rimanga sconvolto, come una donna baffuta o un uomo forzuto dei circhi da 1 penny di un secolo fa. È la tv dell'informazione faziosa (di destra e di sinistra). È la superficialità, il vuoto al potere, la morte della creatività.

E il problema, in fondo, è di noi "giovani". I nostri genitori o i nostri nonni almeno hanno vissuto gli anni gloriosi della televisione italiana, prima che arrivassero le poppute cameriere di Drive In, le Cin Cin di Colpo Grosso, le Veline mute che hanno fatto scuola anche fuori dallo schermo. Ci dicono che la televisione di oggi è migliore, è al passo con i tempi, segue il mercato perché è il mercato che la fa vivere, sa leggere i gusti del pubblico, della stramaledetta casalinga di Voghera. "Beato chi ci crede", recitava la sigla di Di nuovo tante scuse (show del 1976 presentato proprio da Raimondo Vianello e Sandra Mondaini). Ma noi no, non ci crediamo. E ci tuffiamo, come nostalgici di un'epoca lontana sessant'anni e che non dovrebbe appartenerci, nel palinsesto di Rai Storia, costruito grazie all'immenso archivio delle Teche Rai. Non c'è altra soluzione: nella televisione italiana le emozioni sono diventate repliche.

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