Ffwebmagazine
19 aprile 2010
Dicono che chi è nato e vive a Cadice, sulla punta estrema della Spagna meridionale, a un tiro di schioppo dalle coste marocchine, abbia molte probabilità di impazzire. Dicono sia colpa dei venti che arrivano dall'Atlantico e dal Mediterraneo, e che proprio lì si incontrano e si scontrano.
Sergio Dominguez Martinez, 22 anni, è nato lì vicino, ad Algeciras, nel cuore della Spagna che fu araba e che lo è ancora, almeno per la toponomastica. Algeciras, infatti, non è altro che la versione latinizzata della parola araba Al Jazeera, già nota al grande pubblico per il canale all news del Qatar. Sergio è andaluso, orgogliosamente andaluso. E degli andalusi ha tutto: pregi e difetti. Innanzitutto è fiero e orgoglioso di essere spagnolo. Tutto quello che viene dal paese iberico è, per lui, il non plus ultra. Nessuno al mondo sa fare le stesse cose, nello stesso modo.
Ma di andaluso ha anche l'irrefrenabile furia creativa, la voglia di conoscere nuove persone e culture, di influenzare e farsi influenzare, di essere l'emblema massimo di un meticciato che in Andalusia, prima che venisse soffocato nel sangue dalla Reconquista cattolica, aveva prodotto esempi mirabili di tolleranza e dialogo tra culture. E Sergio è orgoglioso anche del retaggio musulmano, pur essendo spagnolo al 100%.
Ma per vivere bene non basta il sangue andaluso, soprattutto se sei figlio di un muratore disoccupato e di una assistente sociale, se tuo fratello fa il meccanico e se la tua famiglia vorrebbe che tu restassi lì, a bruciarti la pelle sotto il sole cercando un lavoro che non c'è e accontentandoti del sorriso che hai nel Dna, della voglia di vivere che nessun problema economico potrà mai portarti via. Ma a Sergio non bastava e quattro anni fa ha deciso: si va a Madrid, a studiare e cercar fortuna. Pazienza se poi non vivi a Madrid ma a Torrejon de Ardoz, città-dormitorio a 27km dalla capitale, e condividi un appartamento piccolo con la nonna 86enne. Il sogno rimane e anzi si alimenta, anche se il tuo quartiere è da proletariato urbano, e il figlio del muratore studia Belle Arti, dipinge, legge, va a Parigi per un weekend e ci rimane un anno, lavorando di notte come panettiere, per respirare arte e aprirsi al mondo, accogliendolo anche nei suoi lati più deteriori.
Sergio è colto, sa tutto delle proprie radici e le rinnova giorno per giorno, senza per questo essere conservatore o bacchettone. Ha un vistoso orecchino di legno all'orecchio destro, è bohemien, eppure non fa altro che parlare della letteratura delle origini, dello struggente Lazarillo de Tormes, del «più grande scrittore della storia insieme a Shakespeare», quel Miguel Cervantes che dalle parti di Torrejon e Alcalà de Henares (città natale dello scrittore) è un dio. Sergio studia a La Latina, il quartiere degli artisti di Madrid, e ogni volta che esce dall'elegante palazzo storico che ospita la sua scuola alza lo sguardo, guarda le case, i volti, ascolta la musica e il brusio incessante che fa da colonna sonora alla movida e pensa che lui dovrebbe vivere lì, non a Torrejon.
Eppure, zaino in spalla, corre ad Atocha a prendere il treno della Cercanìa che lo riporterà a casa, dove la nonna lo aspetta con un piatto di baccalà o un riso alla cubana così buono che nemmeno Ferran Adrià con tutti i suoi intrugli chimici e "molecolari" potrebbe far di meglio. «Sono troppo sognatore, i miei me lo ripetono sempre. Di notte, quando vado a dormire, inizio a pensare a cosa vorrei fare, ai progetti che forse non realizzerò mai, alla vita che vorrei e che non ho». Così parla Sergio, e ascoltarlo è un pugno nello stomaco, perché sai che probabilmente ha ragione, che forse non realizzerà mai i suoi sogni. A differenza di molti altri suoi coetanei, però, Sergio non si rassegna e continua a sognare. «Sono così e sarò così per sempre. Non posso cambiare, nemmeno volendo».
Eccola la frase che aspettavi, che ti fa rendere conto che Sergio è il paradigma di una nazione intera. La Spagna è così e così sarà per sempre. Ci hanno provato in tanti a snaturarla, a violentarla e modificare la sua essenza: integralisti cattolici, sanguinari socialcomunisti, orchi franchisti che l'hanno soffocata per quarant'anni, terroristi baschi e islamici. Ma la Spagna è ancora lì, con i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi sogni forse irrealizzabili e le sue piccole conquiste di civiltà che raccoglie come mollichine di pane per l'inverno che inevitabilmente verrà, perché è sempre venuto nel corso dei secoli. E' come Sergio, la Spagna. È come un ventiduenne che ama il cubismo e accudisce la nonna, che legge Cervantes e prepara le baguette a Parigi, che non compra un Moleskine perché è troppo caro (12 euro) e si commuove vedendo l'interno della Cattedrale dell'Almudena.
C'è da sperare che né Sergio, né la Spagna, cambino mai. Magari dovremmo cambiare noi, per ricominciare a sognare. Forse inutilmente, forse no. Gregorio Marañón, genio multiforme e liberale del Novecento spagnolo, è riuscito a racchiudere un intero stile di vita in una frase: «Vivere non è solo esistere, ma esistere e creare, saper godere e soffrire, e non dormire senza sognare. Riposarsi è cominciare a morire».
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