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mercoledì 26 maggio 2010

E con Monica Setta, in tv l'approfondimento è all'acqua di rose

Ffwebmagazine
26 maggio 2010
Avevamo promesso a noi stessi di non scriverne, per non sembrare i soliti critici televisivi inaciditi, che storcono il naso di fronte a ogni minima bruttura della tv, che snobbano con fare da radical chic da salotto i personaggi che vanno per la maggiore nel panorama catodico del nostro paese. Avevamo promesso, è vero. Ma non tutte le promesse si possono mantenere, soprattutto se il personaggio in questione si chiama Monica Setta. 

L'ascesa televisiva della giornalista brindisina è stata fulminea. Da una dignitosissima carriera giornalistica sulla carta stampata (Capital, Io Donna, Gente e Gente Viaggi), infatti, a un certo punto la Nostra si è dedicata anima e corpo alla tv. Prima a La7, con programmi di taglio prettamente femminile, poi il gran salto in Rai, lo spazio politico a Domenica In, fino ad arrivare alla doppietta da solista di quest'anno: Il Fatto del giorno (dal lunedì al venerdì, ore 14, Rai Due) e Peccati – I sette vizi capitali (sette seconde serate sempre su Rai Due). Il pubblico non sembra gradire granché, a esser sinceri, ma pare che i dirigenti di viale Mazzini non la pensino allo stesso modo. Si mormora, ed è più che un mormorio, che la Setta abbia santi mica da ridere nel Paradiso del centrodestra. Si spiegherebbe come mai, ad esempio, qualche mese si era fatto proprio il suo nome come anti-Santoro del Pdl a cui affidare un programma di approfondimento politico da contrapporre ad AnnoZero.

Le reazioni, anche all'interno dello stesso centrodestra, erano state a metà tra sbigottimento e ilarità. Forse Monica Setta ha pagato il maschilismo di una certa politica, ma forse no. Forse, ad esempio, i critici della giornalista hanno utilizzato come metro di giudizio Il Fatto del giorno, il programma quotidiano che riempie il palinsesto del primo pomeriggio della seconda rete. In effetti l'impostazione editoriale e stilistica della trasmissione lascia perplessi. Per una scelta che ci risulta di difficile comprensione, gli argomenti più seri dell'attualità politica, sociale ed economica vengono affrontati in studio con orde di opinionisti prezzemolini, ex soubrette in disgrazia, nani e ballerine.

Mitica una recente puntata sulla crisi economica greca (argomento mica da ridere) con Monica Setta che si rivolge alla soubrette di turno e chiede: «Tu, da madre, come pensi sul disastro economico di Atene?». Occhio vitreo dell'ospite, un momento di comprensibile terrore e poi due parole in croce biascicate con poca convinzione. Quando c'è da parlare di cose più leggere, però, ecco spuntare i politici: Daniela Santanché uber alles, visto che il sottosegretario all'Attuazione del programma di governo (prima o poi ci spiegheranno i suoi compiti?) è quasi ospite fisso e con la consueta pacatezza passa dall'immigrazione all'Isola dei famosi.

Peraltro, Monica Setta sta diventando un personaggione pop. I camionisti italiani, ad esempio, l'hanno scelta come loro icona sexy. Segno dei tempi che cambiano, visto che qualche anno fa in cabina si esponevano orgogliosamente le foto del prosperoso seno di Pamela Anderson. E non poteva mancare l'imitazione dell'ottima Gabriella Germani, che è così brava a replicare stile, voce e argomenti della giornalista che a volte non si capisce chi sta imitando chi.

Ecco, ci siamo sfogati. Abbiamo dato spago di nuovo alle nostre pulsioni snob. Abbiamo criticato un modo di concepire l'approfondimento giornalistico che è distante non solo dai nostri personali modelli, ma anche da quelli oggettivi all'insegna dell'obiettività, della serietà e della qualità. Non ce ne voglia Monica Setta, non ce ne vogliano i fan della neotelevisione all'acqua di rose. È più forte di noi. E temiamo che, nonostante le promesse ripetute, continueremo a farlo.

giovedì 20 maggio 2010

E nun ce vonno stà: la Padania e quei livori mai sopiti

Ffwebmagazine
20 maggio 2010


Per capire la portata dell'attacco scatenato dal nord, basta leggere la Padania di oggi. Richiamo bene in vista in prima, quattro pagine interne fitte di invettive e ricostruzioni complottiste e un unico leitmotiv a tenere insieme tutto: Roma ladrona. Ebbene sì, la Lega di governo si rituffa nel passato e denuncia il malaffare della godereccia capitale dell'Impero. È lo stesso Leoni, fondatore della Lega con Umberto Bossi, a guidare l'assalto padano: «Roma ladrona ci ha rubato anche le Olimpiadi. È così, questa città non si accontenta mai, vuole prendere tutto». E ancora, arrivando quasi a minacciare: «Da qui al 2020 il paese sarà profondamente cambiato. L'Italia sarà diversa col federalismo e allora magari anche la Padania avrà il suo Comitato olimpico e le sue Olimpiadi». Ecco, sarebbe il caso di spiegare al senatore Leoni che tra federalismo e secessione c'è una bella differenza. D'altronde, nemmeno regioni autonomiste molto più calde dell'inesistente Padania (dai Paesi Baschi alla Scozia, dalla Catalogna all'Irlanda del nord) hanno comitati olimpici indipendenti da quello nazionale.

Ma anche i giornalisti del quotidiano leghista non le mandano certo a dire. Alessandro Montanari, ad esempio, forse scrive pensando ad Asterix e alla sua saga, se è vero che conclude il suo articolo con un riferimento (tanto per cambiare) alle tasse: «Noi abitanti delle colonie periferiche padane siamo costretti a versare annualmente a Roma  per rientrare dai suoi, colpevoli, svolazzi». Come dire: la capitale dell'immorale Impero se la gode e a nord del Po si pensa solo a laurà per mantenere i vizi della corte dissipata. E le citazioni potrebbero essere molte di più, con una gara tra giornalisti e politici a chi la spara più grossa.

Nessuno, però, si è preoccupato di rispondere in maniera netta e definitiva a questa ridda di accuse sguaiate senza capo né coda. Eppure basterebbe davvero poco. Basterebbe dire, ad esempio, che le infrastrutture presenti a Roma danno la garanzia di avere una base sulla quale lavorare, senza costruire nuove cattedrali nel deserto che snaturerebbero l'armonia urbanistica e architettonica di una città. Basterebbe dire, ad esempio, che non si riesce proprio a immaginare un'Olimpiade a Venezia, innanzitutto perché non esiste fisicamente lo spazio per gli impianti. Oppure i Giochi olimpici di Venezia si sarebbero dovuti svolgere fuori dalla città lagunare? E che senso avrebbe avuto? Basterebbe dire, inoltre, che per Venezia le Olimpiadi sarebbero state una vera e propria iattura. Per una città così fragile, delicata, da preservare, un evento del genere avrebbe rappresentato un rischio incalcolabile per la salvaguardia dell'anima lagunare.

Basterebbe poco, insomma, per smontare le risibili accuse a sfondo politico di stampo leghista. Ma forse ha ragione chi non replica. Forse ha ragione chi preferisce lasciare i padani ai loro deliri demagogici a uso e consumo della loro “gggente” (non se ne può più di questa “gggente”, diciamolo). Quello che non si può evitare di fare, però, è riflettere pacatamente e con serietà sulla vera essenza della Lega Nord. Per qualche tempo gli incendiari di via Bellerio si erano trasformati in pacati e autorevoli uomini di governo. Ma è bastato poco, davvero poco, per far tornare a galla mai sopiti livori. E pensare, infine, che questi stessi nemici di Roma ormai fanno il bello e il cattivo tempo anche nella Capitale. Chissà se sa anche questo, la “gggente” del nord...
Il Coni ha deciso: sarà la Capitale a correre per l'assegnazione dei Giochi olimpici del 2020. Roma doveva essere, dunque, e Roma sarà. E non perché, come urlano sbavando dal nord, la Roma ladrona ha messo in campo tutto il proprio bagaglio occulto di poteri striscianti per battere la “serenissima” e innocente Venezia. Nossignore, non è andata così. Non stavolta, semmai sia realmente successo in passato. Le reazioni sguaiate alla scelta plebiscitaria del Consiglio nazionale del Comitato olimpico italiano (unica eccezione su 68 votanti: il presidente dell'Aeroclub d'Italia Giuseppe Leoni, senatore leghista) erano prevedibili, ammettiamolo, ma fino all'ultimo avevamo sperato che ci venisse risparmiato l'ennesimo teatrino livoroso che divide il paese, che lancia accuse da complottismo di quart'ordine per urlare allo scippo. Quasi come se avesse vinto un piccolo paesino di mille abitanti contro una metropoli attrezzata e organizzata.

mercoledì 19 maggio 2010

Ma quella di Rainews è professionalità da tutelare

Ffwebmagazine
19 maggio 2010

Proprio nel giorno in cui Mamma Rai cambia logo, rinnovandosi graficamente solo pochi anni dopo il funesto arrivo della criticatissima “farfallina”, dalle parti di viale Mazzini si scatena la tempesta. A innescarla, stavolta, non è Santoro, né Travaglio o Minzolini. Non si tratta di un capriccio di una star del piccolo schermo, insomma. La polemica monta direttamente dai sotterranei di Saxa Rubra, dalle catacombe del giornalismo televisivo, da quella realtà professionale piccola e bistrattata che è Rainews24 (da ieri solo Rainews). La rete all news diretta da Corradino Mineo, infatti, improvvisamente è sparita dai televisori italiani sul digitale terrestre e persino sul bouquet satellitare di Sky.

La reazione dei già mugugnanti giornalisti di Rainews non si è fatta attendere: nota ufficiale, richiesta di spiegazioni, Mineo infuriato e assemblea immediata. Risultato: sciopero indetto per il 28 maggio e sit-in pomeridiano all'ombra del cavallo morente. A nulla sono valse le motivazioni dell'azienda, pronta a giustificare il disguido tecnico con un cambio di frequenze dovuto allo switch over in alcune zone del nord. Anche perché i problemi di frequenza sul digitale non spiegherebbero comunque l'oscuramento sul satellite.

La professionalità di Rainews, in effetti, è calpestata da tempo dai piani alti della Rai. E nessuna differenza si è vista quando al governo c'era il centrosinistra. Sembra che, nonostante ciò che dicano i dirigenti, il canale all news non sia strategico per l'azienda. Errore madornale e pacchiano, visto che negli ultimi anni il canale televisivo che più di ogni altro ha riscosso successi roboanti, è cresciuto e si è fatto conoscere al grande pubblico è proprio un diretto competitor di Rainews, cioè SkyTg24 di Rupert Murdoch.

Fino a qualche tempo fa si imputava a Rainews la linea troppo estrema su alcuni argomenti per riuscire a raccogliere un'audience vasta e trasversale. Critica peraltro condivisibile, viste le spericolate posizioni politiche di chi ha preceduto Corradino Mineo alla scrivania di direttore. Da quando è arrivato l'ex giornalista del Tg3 e già corrispondente da Parigi, l'aria è cambiata e molto. Non solo contenutisticamente, per intenderci, ma anche e soprattutto nella forma e nello stile. Se a SkyTg24 sono tutti giovani, aitanti e à la page, infatti, a Rainews si prediligeva lo stile radical, molto informale (troppo informale!), con giornalisti attempati o che non trovavano spazio sulle reti generaliste.

Un po' funziona ancora così, visto che la rete è vista come una riserva dentro cui parcheggiare chi non è adatto a fare altro (o chi non ha abbastanza santi in Paradiso?). Per non parlare dei risibili mezzi economici destinati al progetto! Una manciata di noccioline, reperite tagliuzzando qua e là, il minimo indispensabile per continuare a vivacchiare, senza acuti né cambi di ritmo. Eppure, nonostante il quadro desolante, Mineo continua a innovare, a sperimentare, a cambiare il volto di una rete televisiva che piano piano sta tentando di mettersi al passo con i competitors italiani e stranieri. È piuttosto comprensibile, quindi, che una trincea già provata da anni di indifferenza, quando non di ostilità, reagisca duramente se persino il poco che si può fare non va in onda.

Le motivazioni addotte dall'azienda, dicevamo, sembrano un po' deboli. E le risposte vere devono arrivare con investimenti maggiori e più credito nei confronti di un team di professionisti che è riuscito a raggiungere livelli più che dignitosi, contando sui pochi mezzi a disposizione. Forse è questo che ha dato fastidio a viale Mazzini. Forse c'era qualcuno, lì ai piani alti, dove si preferisce decidere di grandi show del sabato sera o soubrette da collocare, che sperava che Rainews facesse la classica figura di chi spera di fare le nozze con i fichi secchi.

sabato 15 maggio 2010

Miss Usa è musulmana: forse è ora di imparare qualcosa...

Ffwebmagazine
15 maggio 2010

Vi ricordate quando, nel 1996, Denny Mendez, dominicana e di colore, venne scelta come Miss Italia? Settimane intere di dibattiti, iniziate ben prima della kermesse di Salsomaggiore, e fazioni contrapposte: una ragazza di colore rappresentava la tipica bellezza italiana?

Pare che negli Usa le discussioni di questo genere non abbiano lo stesso successo. Non c'entra, o almeno non si tratta solo di questo, della tipica propensione statunitense per il melting pot. Anche perché il concorso di Miss Usa 2010 non è stato vinto da una afroamericana, una ispanica o una asiatica (è già successo da tempo). Rima Fakih, nata nel Michigan 24 anni fa, ha qualcosa in più: è musulmana. La sua famiglia di origini libanesi festeggia sia le festività islamiche che quelle cattoliche.

Ecco la novità, ecco l'ultima frontiera da valicare nella sociologia a volte spicciola dei concorsi di bellezza. Una reginetta musulmana nel paese dell'11 settembre, dell'islamofobia che ha dominato i primi dieci anni di questo Terzo Millennio. Inutile fingere che non faccia specie: è un segnale importante di distensione, di una maturazione della società americana che forse può andare oltre quel giorno terribile di 9 anni fa, senza dimenticare nulla, ma anche senza generalizzazioni, senza pregiudizi, senza fare di tutta l'erba un fascio.

Ricordiamo tutti i mesi successivi all'attentato del World Trade Center: parecchi voli vennero fatti atterrare perché un passeggero spaventato aveva urlato al terrorista, solo perché il vicino di posto parlava arabo, o era di pelle olivastra, o indossava un turbante o una tunica. Questa lunga parentesi di diffidenza sembra essere finita, oggi, nella maniera più frivola possibile, con una fascia da miss consegnata dal multimiliardario Donald Trump a una immigrata di seconda generazione.

Eccolo l'altro punto cruciale, utile anche dalle nostre parti. Rima Fakih è figlia di libanesi, non dimentica le proprie origini né le tradizioni della sua famiglia. Eppure Rima è americana in tutto e per tutto. Abitudini, modi di pensare e di comportarsi, persino gusti alimentari: tutto nella nuova miss Usa è a stelle e strisce. E gli americani, popolo nato da un fenomeno globale di emigrazione, lo sanno bene.

Forse non lo capirebbero allo stesso modo alcuni italiani. Forse penserebbero che Rima è americana solo de jure. Forse penserebbero bene di manifestare contro la sua vittoria, magari portando un maiale al guinzaglio. Forse penserebbero che Rima è tutto fuorché occidentale, perché è musulmana, e l'Occidente è cristiano. Punto. Non si discute.

Eppure questi immigrati di seconda generazione sono sempre di più, parlano la nostra lingua meglio di molti di noi, tifano per le nostre squadre di calcio, vestono all'ultima moda del made in Italy, mangiano pasta e pizza. E proprio come è accaduto in America, anche in Italia prima o poi si dovrà prendere atto di un dato di fatto incontrovertibili, cioè che anche loro sono italiani, che anche loro (forse soprattutto loro, visto il tasso di natalità del nostro paese) rappresenteranno l'Italia di domani.
Chissà che ne pensano i leghisti, i filoleghisti, i metaleghisti, i postleghisti, della vittoria di Rima Fakih in quel di Las Vegas... Sarebbe il caso di imitare gli amici americani, anche solo “per vedere di nascosto l'effetto che fa”.

Scherzi a parte, reginette o meno, dall'America arriva una bella lezione. L'America a chi la ama, l'Italia pure. Speriamo.

mercoledì 12 maggio 2010

La5 un canale per donne: sì, ma quali?

Ffwebmagazine
12 maggio 2010

La nascita di un nuovo canale, soprattutto se contribuisce ad arricchire l'offerta per adesso scarsa del digitale terrestre, dovrebbe farci esultare. E la partenza de La5, nuovo canale Mediaset dedicato alle donne che comincerà le trasmissioni stasera alle 21, riesce solo in parte a farci gioire. Di buono, dicevamo, c'è che i colossi televisivi italiani cominciano a investire sul digitale gratuito non solo con repliche trite e ritrite, ma anche con programmi nuovi di zecca, produzioni (seppure a basso costo) solo per il pubblico del digitale, croce e delizia della nuova televisione.

Quello che ci convince meno, invece, è la vera e propria "linea editoriale" del nuovo canale femminile del Biscione. Sì, perché se stiamo parlando di un canale all pink, tutto dedicato alle donne, bisogna capire innanzitutto di che donne stiamo parlando. A giudicare dal primo palinsesto presentato in pompa magna da direttori, channel manager, funzionari e dirigenti (guarda caso tutti uomini), c'è ben poco da esultare. Provate a indovinare chi ha firmato il primo programma nuovo di zecca, tutto per La5. È Antonio Ricci, il padre di Striscia la notizia, l'ideatore delle Veline, quel modello femminile non proprio edificante che ha creato in Italia un vero e proprio ritorno, meno ideologico e più pragmatico, del femminismo italico.

E a condurre Le nuove mostre, striscia quotidiana che offrirà al telespettatore il peggio della tv del giorno prima, sarà condotto proprio da loro, la bionda Costanza e la mora Federica, le veline di Striscia.
Un altro contenuto esclusivo del nuovo canale è l'imperdibile (sic!) Ciao Darwin: istruzioni per l'uso, backstage dello show ideato e condotto da Paolo Bonolis. Anche Ciao Darwin, in effetti, non si è mai distinto per una concezione decorosa e rispettosa della donna. Basti pensare alla bella statuina muta chiamata Madre Natura, o ai commenti maschilisti che accompagnano l'immancabile sfilata in lingerie delle concorrenti. D'altronde, con molta onestà intellettuale, Bonolis ha sempre dichiarato di volersi dedicare, con Ciao Darwin, al disimpegnatissimo filone "tette e culi", rivendicano la liceità della scelta ultraleggera.
Altra chicca per le donne di età compresa tra 15 e 40 anni (il target del nuovo canale) è la riproposizione in prima serata delle puntate di Beautiful. Le vicende libertine e amorali della famiglia Forrester sbarcano, dunque, nel prime time, confermano che il target femminile di cui sopra non è proprio composto da donne impegnate ed emancipate.

Soap opera, veline e tv "tette e culi" (senza dimenticare i concerti del tour estivo degli Amici di Maria De Filippi): questo il primo menu, che rischia di risultare indigesto. La storia è sempre uguale, in tv, in politica, in ogni ambito della vita quotidiana: di quello che vogliono le donne, dei loro bisogni e dei loro gusti, delle loro inclinazioni e aspirazioni, se ne occupano gli uomini. Con l'ovvio risultato di rappresentare un universo femminile lontano anni luce dalla realtà e facendo capire alle donne, magari quelle più indifese, che quello che vogliono è proprio questo, niente di più. Benvenuto al nuovo canale per le donne, dunque. Ma la domanda è una, semplice, diretta e lineare: per quali donne, di grazia? 

giovedì 6 maggio 2010

Quando lo schermo è tutto un tripudio di... deretani

Ffwebmagazine
6 maggio 2010
In quel Circo Barnum imbarazzante che è diventata la televisione italiana, ci mancavano solo i culi imparruccati che interpretano Grease. Chi non ha assistito all'orrida performance forse non crederà a quello che sta leggendo, eppure vi assicuriamo che è andata proprio così. Il “merito” di questo alto momento di spettacolo televisivo è di Italia's got talent, versione nostrana del format inglese Britain's got talent. Ma se a Londra c'è Simon Cowell in giuria e Susan Boyle sul palco, noi ci dobbiamo accontentare di Rudy Zerbi e dei culi truccati e canterini.

Lungi dal voler cadere nel cliché moralista o radical chic, è però innegabile che vedere uno spettacolo simile in prima serata su Canale 5 fa accapponare la pelle. Non fosse altro perché lo show in questione ospita in giuria anche Maria De Filippi e Gerry Scotti, le due punte di diamante della squadra Mediaset. Il nostro appunto, prima ancora che televisivo, è prettamente estetico. Perché mandare in onda due sederi completamente nudi che zompettano allegramente (e con scarso talento, c'è da aggiungere) sulle note del musical reso celebre da John Travolta e Olivia Newton-John? Cosa hanno voluto dimostrare gli autori con questa scelta? Non capiamo, nonostante ci stiamo sforzando di interpretare l'oscenità di una cosa simile. Un'interpretazione scherzosa (e un po' maligna) potrebbe essere la seguente: con tutte le facce da culo che imperversano sui nostri schermi, due culi veri, in chiappe e ossa, non dovrebbero scandalizzare più di tanto.
Scherzi a parte, l'episodio di cui stiamo parlando è l'ennesimo sintomo di una malattia cronica e forse incurabile che ha colpito la nostra tv. Si sono raggiunti livelli impensabili solo fino a pochi anni fa e più passa il tempo, più si alza l'asticella del cattivo gusto. E i culi musicali non sono l'unico motivo di sconforto per lo spettatore italiano di questi tempi. È da poco tornato in onda, ad esempio, La Pupa e il Secchione, reality show costruito a tavolino che punta a dimostrare il cliché che le belle sono oche e i brutti sono geni. Peccato, però, che già dalla scelta dei conduttori il teorema sia stato sovvertito: Paola Barale è bella e ha anche un cervello; Enrico Papi... beh, è Enrico Papi.

E poi, spiace dirlo, il Ciao Darwin di Paolo Bonolis si sta confermando ancora una volta come un programma volgare, caciarone, urlato, assolutamente privo di contenuti. Spiace, dicevamo, perché Bonolis anche in questo caso dimostra di essere un cavallo di razza, conducendo con il solito piglio adrenalinico e con la consueta ironia dissacrante che tanto ci piace. Il problema, però, è il format nel suo insieme. Fenomeni da baraccone, personaggi troppo eccessivi, nudità per nulla celate, linguaggio scurrile. Tutto quello che vorremmo non andasse in onda, insomma, condensato in uno show di prima serata di Canale 5. E infine lo Show dei record, cui abbiamo accennato qualche settimana fa, con il consueto carrozzone di nani, donne barbute, anziani tatuati, macchiette e via cantando.

Non stupisce affatto che tutti gli esempi che abbiamo elencato riguardino le reti Mediaset. In un periodo in cui persino la Rai, ente televisivo pubblico e quindi vincolato a regole ben precise, sta scivolando verso i bassifondi della qualità catodica, la televisione commerciale, principale indiziata (almeno da vent'anni) del degrado del mezzo, si sente in diritto di spingersi oltre, di varcare le colonne d'Ercole, per la verità superate da quel dì, del buon gusto.

Non dobbiamo considerare quei culi ballerini come il punto di non ritorno, il massimo del minimo, l'acme del pecoreccio che non si può superare. Ci piacerebbe fosse così, ma siamo certi che gli strapagati autori e dirigenti televisivi sapranno deliziarci ancora con ulteriori mirabolanti invenzioni. Il nostro terrore più grande, sinceramente, è che i due “anonimi calabresi” che si sono esibiti chiappe al vento, decidano prima o poi di mettere in scena anche Pinocchio...