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giovedì 20 maggio 2010

E nun ce vonno stà: la Padania e quei livori mai sopiti

Ffwebmagazine
20 maggio 2010


Per capire la portata dell'attacco scatenato dal nord, basta leggere la Padania di oggi. Richiamo bene in vista in prima, quattro pagine interne fitte di invettive e ricostruzioni complottiste e un unico leitmotiv a tenere insieme tutto: Roma ladrona. Ebbene sì, la Lega di governo si rituffa nel passato e denuncia il malaffare della godereccia capitale dell'Impero. È lo stesso Leoni, fondatore della Lega con Umberto Bossi, a guidare l'assalto padano: «Roma ladrona ci ha rubato anche le Olimpiadi. È così, questa città non si accontenta mai, vuole prendere tutto». E ancora, arrivando quasi a minacciare: «Da qui al 2020 il paese sarà profondamente cambiato. L'Italia sarà diversa col federalismo e allora magari anche la Padania avrà il suo Comitato olimpico e le sue Olimpiadi». Ecco, sarebbe il caso di spiegare al senatore Leoni che tra federalismo e secessione c'è una bella differenza. D'altronde, nemmeno regioni autonomiste molto più calde dell'inesistente Padania (dai Paesi Baschi alla Scozia, dalla Catalogna all'Irlanda del nord) hanno comitati olimpici indipendenti da quello nazionale.

Ma anche i giornalisti del quotidiano leghista non le mandano certo a dire. Alessandro Montanari, ad esempio, forse scrive pensando ad Asterix e alla sua saga, se è vero che conclude il suo articolo con un riferimento (tanto per cambiare) alle tasse: «Noi abitanti delle colonie periferiche padane siamo costretti a versare annualmente a Roma  per rientrare dai suoi, colpevoli, svolazzi». Come dire: la capitale dell'immorale Impero se la gode e a nord del Po si pensa solo a laurà per mantenere i vizi della corte dissipata. E le citazioni potrebbero essere molte di più, con una gara tra giornalisti e politici a chi la spara più grossa.

Nessuno, però, si è preoccupato di rispondere in maniera netta e definitiva a questa ridda di accuse sguaiate senza capo né coda. Eppure basterebbe davvero poco. Basterebbe dire, ad esempio, che le infrastrutture presenti a Roma danno la garanzia di avere una base sulla quale lavorare, senza costruire nuove cattedrali nel deserto che snaturerebbero l'armonia urbanistica e architettonica di una città. Basterebbe dire, ad esempio, che non si riesce proprio a immaginare un'Olimpiade a Venezia, innanzitutto perché non esiste fisicamente lo spazio per gli impianti. Oppure i Giochi olimpici di Venezia si sarebbero dovuti svolgere fuori dalla città lagunare? E che senso avrebbe avuto? Basterebbe dire, inoltre, che per Venezia le Olimpiadi sarebbero state una vera e propria iattura. Per una città così fragile, delicata, da preservare, un evento del genere avrebbe rappresentato un rischio incalcolabile per la salvaguardia dell'anima lagunare.

Basterebbe poco, insomma, per smontare le risibili accuse a sfondo politico di stampo leghista. Ma forse ha ragione chi non replica. Forse ha ragione chi preferisce lasciare i padani ai loro deliri demagogici a uso e consumo della loro “gggente” (non se ne può più di questa “gggente”, diciamolo). Quello che non si può evitare di fare, però, è riflettere pacatamente e con serietà sulla vera essenza della Lega Nord. Per qualche tempo gli incendiari di via Bellerio si erano trasformati in pacati e autorevoli uomini di governo. Ma è bastato poco, davvero poco, per far tornare a galla mai sopiti livori. E pensare, infine, che questi stessi nemici di Roma ormai fanno il bello e il cattivo tempo anche nella Capitale. Chissà se sa anche questo, la “gggente” del nord...
Il Coni ha deciso: sarà la Capitale a correre per l'assegnazione dei Giochi olimpici del 2020. Roma doveva essere, dunque, e Roma sarà. E non perché, come urlano sbavando dal nord, la Roma ladrona ha messo in campo tutto il proprio bagaglio occulto di poteri striscianti per battere la “serenissima” e innocente Venezia. Nossignore, non è andata così. Non stavolta, semmai sia realmente successo in passato. Le reazioni sguaiate alla scelta plebiscitaria del Consiglio nazionale del Comitato olimpico italiano (unica eccezione su 68 votanti: il presidente dell'Aeroclub d'Italia Giuseppe Leoni, senatore leghista) erano prevedibili, ammettiamolo, ma fino all'ultimo avevamo sperato che ci venisse risparmiato l'ennesimo teatrino livoroso che divide il paese, che lancia accuse da complottismo di quart'ordine per urlare allo scippo. Quasi come se avesse vinto un piccolo paesino di mille abitanti contro una metropoli attrezzata e organizzata.

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