FareitaliaMag
29 aprile 2011
Il gran giorno è arrivato: oggi William d'Inghilterra e Kate Middleton si sposano. E chi se ne frega?, diranno molti nostri lettori per nulla avvezzi alle cronache coronate. In parte hanno ragione, in parte no. Perché sarà pur vero che si tratta di un semplice matrimonio tra due ragazzi che hanno avuto la fortuna di nascere nelle famiglie dove sono nati, ma non per questo va derubricato a evento meramente mondano e “rosa” in un mondo che ha tanti altri problemi a cui pensare.
Sì, perché l'erede al trono di Regno Unito e Irlanda del Nord, Antigua e Barbuda, Australia, Isole Bahamas, Barbados, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomone e Tuvalu, futuro capo del Commonwealth e governatore supremo della Chiesa Anglicana, Comandante in capo delle forze armate e Signore dell'Isola di Man, non è l'ennesimo rampollo viziato della famiglia dei Windsor. È il futuro prossimo di una monarchia solida e amata dai propri sudditi ma che ha urgentemente bisogno di una iniezione di fiducia e di freschezza.
William è bello e affascinante come la madre Diana, e proprio nell'effetto pop della figura leggendaria dell'ex principessa del Galles sperano in molti, dalle parti di Buckingham Palace. Il figlio di Lady D non è Carlo, grazie al cielo, e in tutto e per tutto ricorda il mito materno: è impegnato nel sociale, piace agli inglesi (persino ai meno monarchici), ha scelto di svolgere il proprio compito più con il cuore che con la mente, più con l'umanità e la freschezza di un trentenne qualsiasi che con l'alterigia e la freddezza di una testa coronata. Si è innamorato di una ragazza borghese, figlia di due ex assistenti di volo chiacchieratissimi e ambiziosi, l'ha voluta e oggi se la sposa.
Spirito indipendente che non è solo una parte importante dell'eredità materna, ma anche, e forse soprattutto, caratteristica fondamentale dell'indole britannica. A dispetto degli stereotipi che vogliono gli inglesi compassati e algidi, formali e poco inclini alle emozioni, i sudditi di sua Maestà, soprattutto i più giovani, hanno sempre dimostrato lungimiranza e spirito pionieristico, avanguardismo allo stato puro in politica, nella moda, nella musica. Basta fare un giro a Soho o a Camden Town per averne la prova: è tutto un brulicare di energia vitale giovanile che si trasforma in creatività, in intrapresa, in voglia di cambiare il mondo. Certo, William è straricco, ha studiato nelle migliori scuole del Regno, non è certo un membro della working class tanto cara a Ken Loach, ma è comunque il simbolo di una generazione.
E lo stesso, forse ancora di più, vale per la bellissima Kate. Ha un peso gravosissimo sulle sue spalle, la bruna rampolla di una famiglia di parvenu dalle origini umili, eppure sembra in grado di poterlo portare con disinvoltura. Tutto dipenderà, oltre che dal suo grado di resistenza allo stress, anche dall'influenza che avrà su di lei la corte di Sua Maestà. Stavolta però, siamo sicuri che a Buckingham Palace non si ripeteranno gli errori del passato. Kate Middleton, futura regina di Inghilterra, non è Diana Spencer, purtroppo per lei, ma nemmeno la bizzosa e incontrollabile Sarah Ferguson o la scandalosa e discussa Wallis Simpson. È una ragazza di ventinove anni che si è innamorata di un coetaneo e oggi corona il suo sogno d'amore. Una ragazza per nulla disposta a sottostare ai diktat asfissianti della Corte ma che, d'altro canto, non ha nessuna intenzione di mettere in difficoltà i blasonati parenti. Elisabetta II, Filippo di Edimburgo, Carlo e Camilla sono avvertiti.
Stavolta, ne siamo sicuri, sarà lo spirito libero di una generazione sicura di sé a prevalere sulle impolverate dinamiche dei Windsor. A tutto vantaggio di William, Kate e della monarchia inglese. La sfida è contro la gerontocrazia di una istituzione millenaria, contro una visione impaludata della monarchia, che se non riuscirà ad accogliere le istanze del tempo verrà spazzata via inesorabilmente. E' una sfida giovanile e i giovani di tutto il mondo, oggi, dovrebbero fare il tifo per i due novelli sposi e augurare loro buona fortuna. Ne avranno bisogno loro. Ne avremo bisogno noi.
sabato 30 aprile 2011
martedì 26 aprile 2011
Solite polemiche, solita Italia
FareitaliaMag
26 aprile 2011
Strano paese, l'Italia. Abbiamo un sacco di problemi, una crisi economica dalla quale stiamo uscendo con lentezza e difficoltà, una sponda sud del Mediterraneo che è esplosa e sottolinea una volta di più il nostro ruolo di porta d'Europa. Dobbiamo affrontare una disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 30%, siamo scappati codardamente dalla sfida nucleare, dobbiamo mettere meno alle riforme strutturali da troppo tempo promesse e mai realizzate. Eppure, nonostante questa lunghissima e impegnativa lista della spesa, gli ultimi giorni li abbiamo trascorsi a parlare di due argomenti che in qualsiasi altro paese occidentale sono chiusi da tempo: omosessualità e memoria condivisa della lotta di liberazione. Per quanto riguarda il primo tema, c'ha pensato l'indefesso sottosegretario Giovanardi a innescare una polemica senza senso alcuno. Ikea si è permessa di realizzare alcuni manifesti pubblicitari che raffigurano una coppia omosessuale che si tiene per mano e la scritta "Accettiamo tutti i tipi di famiglia". Apriti cielo! Ecco i soliti invertiti e socialdemocratici svedesi che inquinano la purezza del cattolicissimo concetto di famiglia italiana. Polemica sterile, dicevamo, che dovrebbe lasciare il tempo che trova se non fosse che Giovanardi è il membro del governo con delega proprio alla Famiglia. "E ho detto tutto", direbbero Totò e Peppino. Piuttosto, cominciamo a proporre (anche da destra) il riconoscimento delle coppie omosessuali. Siamo rimasti gli ultimi, in Europa, arroccati nel fortino dell'ipocrisia omofoba. Altra polemica che ci ha fatto un po' vergognare: ieri era il 25 aprile, anniversario della liberazione dell'Italia dal nazifascismo. Ebbene, la repubblica italiana deve moltissimo alla Resistenza e alla lotta al regime fascista. Solo scriverlo ci sembra ridondante, superfluo, persino stupido. Eppure si rende necessario, se è vero come è vero che prima Borghezio (sempre lui) e poi Granata, hanno attaccato la ricorrenza perchè non rappresenterebbe l'Italia intera. Passi Borghezio, che ormai ci ha abituati a questo e altro. Ma Granata non è lo stesso che si definisce "oltre le ideologie novecentesche"? Prima di chiudere (giustamente) il Novecento, tuttavia, sarebbe meglio che i nostalgici di ogni sorta e forma facciano i conti con il loro passato.
26 aprile 2011
Strano paese, l'Italia. Abbiamo un sacco di problemi, una crisi economica dalla quale stiamo uscendo con lentezza e difficoltà, una sponda sud del Mediterraneo che è esplosa e sottolinea una volta di più il nostro ruolo di porta d'Europa. Dobbiamo affrontare una disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 30%, siamo scappati codardamente dalla sfida nucleare, dobbiamo mettere meno alle riforme strutturali da troppo tempo promesse e mai realizzate. Eppure, nonostante questa lunghissima e impegnativa lista della spesa, gli ultimi giorni li abbiamo trascorsi a parlare di due argomenti che in qualsiasi altro paese occidentale sono chiusi da tempo: omosessualità e memoria condivisa della lotta di liberazione. Per quanto riguarda il primo tema, c'ha pensato l'indefesso sottosegretario Giovanardi a innescare una polemica senza senso alcuno. Ikea si è permessa di realizzare alcuni manifesti pubblicitari che raffigurano una coppia omosessuale che si tiene per mano e la scritta "Accettiamo tutti i tipi di famiglia". Apriti cielo! Ecco i soliti invertiti e socialdemocratici svedesi che inquinano la purezza del cattolicissimo concetto di famiglia italiana. Polemica sterile, dicevamo, che dovrebbe lasciare il tempo che trova se non fosse che Giovanardi è il membro del governo con delega proprio alla Famiglia. "E ho detto tutto", direbbero Totò e Peppino. Piuttosto, cominciamo a proporre (anche da destra) il riconoscimento delle coppie omosessuali. Siamo rimasti gli ultimi, in Europa, arroccati nel fortino dell'ipocrisia omofoba. Altra polemica che ci ha fatto un po' vergognare: ieri era il 25 aprile, anniversario della liberazione dell'Italia dal nazifascismo. Ebbene, la repubblica italiana deve moltissimo alla Resistenza e alla lotta al regime fascista. Solo scriverlo ci sembra ridondante, superfluo, persino stupido. Eppure si rende necessario, se è vero come è vero che prima Borghezio (sempre lui) e poi Granata, hanno attaccato la ricorrenza perchè non rappresenterebbe l'Italia intera. Passi Borghezio, che ormai ci ha abituati a questo e altro. Ma Granata non è lo stesso che si definisce "oltre le ideologie novecentesche"? Prima di chiudere (giustamente) il Novecento, tuttavia, sarebbe meglio che i nostalgici di ogni sorta e forma facciano i conti con il loro passato.
lunedì 18 aprile 2011
Habemus papam, polemiche insensate
FareitaliaMag
18 aprile 2011
Non capiamo, davvero. Non riusciamo a capire cosa abbia spinto il vaticanista dell'Agi, Salvatore Izzo, a criticare aspramente Habemus Papam, l'ultimo film di Nanni Moretti, con una lettera pubblicata persino da Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. Izzo è perentorio, arrabbiatissimo, furioso: "Bocciamo la pellicola al botteghino. – scrive – Saremo noi a decretare il successo di questo triste film, se ci lasceremo convincere ad andare a vederlo, perché il pubblico laico si annoierebbe a morte e infatti diserterà le sale”. E ancora: "Alla disinvoltura con la quale i media trattano i temi religiosi ormai ci siamo abituati; il fatto nuovo di questi giorni è invece come alcuni opinionisti cattolici trattano il film Habemus Papam... non fidiamoci dei critici cattolici, anche se preti, che lo assolvono (con una ben curiosa giustificazione: Moretti poteva essere molto più cattivo)". Fino a qui la posizione furibonda di Izzo. Ed è un'opinione come le altre, da rispettare. Ma dopo aver visto il film, continuiamo a rispettarla senza minimamente capirla. Abbiamo visto un film umanissimo, divertente e profondo insieme, che non spara a zero contro la Chiesa ma offre allo spettatore un papa umanissimo, la cui crisi è terrena e non spirituale, la cui fede in Dio è saldissima, certamente più di quella in se stesso. E allora dove starebbe l'offesa di Moretti alla Chiesa? Semplicemente, non c'è. Habemus papam non è il Codice Da Vinci, Moretti non è Dan Brown. Non c'è nemmeno un mezzo fotogramma anticattolico. Se ne è accorta, fortunatamente, Radio Vaticana: “Nessuna ironia, nessun macchiettismo. Tutto molto umano”. Esatto, è proprio così. Le polemiche oltranziste di chi vorrebbe una società ancora divisa tra guelfi e ghibellini lasciano il tempo che trovano. E Izzo, oltre ad aver attaccato furiosamente un film che probabilmente non ha nemmeno visto, ha toppato clamorosamente su un'altra questione: noi, laici, non ci siamo annoiati per nulla. Anzi. Nanni Moretti è riuscito nell'arduo compito di farci apparire più simpatica un'istituzione che rispettiamo ma che spesso fatichiamo a capire. Più Moretti, meno Izzo. Farebbe bene alla Chiesa, senza dubbio alcuno.
18 aprile 2011
Non capiamo, davvero. Non riusciamo a capire cosa abbia spinto il vaticanista dell'Agi, Salvatore Izzo, a criticare aspramente Habemus Papam, l'ultimo film di Nanni Moretti, con una lettera pubblicata persino da Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. Izzo è perentorio, arrabbiatissimo, furioso: "Bocciamo la pellicola al botteghino. – scrive – Saremo noi a decretare il successo di questo triste film, se ci lasceremo convincere ad andare a vederlo, perché il pubblico laico si annoierebbe a morte e infatti diserterà le sale”. E ancora: "Alla disinvoltura con la quale i media trattano i temi religiosi ormai ci siamo abituati; il fatto nuovo di questi giorni è invece come alcuni opinionisti cattolici trattano il film Habemus Papam... non fidiamoci dei critici cattolici, anche se preti, che lo assolvono (con una ben curiosa giustificazione: Moretti poteva essere molto più cattivo)". Fino a qui la posizione furibonda di Izzo. Ed è un'opinione come le altre, da rispettare. Ma dopo aver visto il film, continuiamo a rispettarla senza minimamente capirla. Abbiamo visto un film umanissimo, divertente e profondo insieme, che non spara a zero contro la Chiesa ma offre allo spettatore un papa umanissimo, la cui crisi è terrena e non spirituale, la cui fede in Dio è saldissima, certamente più di quella in se stesso. E allora dove starebbe l'offesa di Moretti alla Chiesa? Semplicemente, non c'è. Habemus papam non è il Codice Da Vinci, Moretti non è Dan Brown. Non c'è nemmeno un mezzo fotogramma anticattolico. Se ne è accorta, fortunatamente, Radio Vaticana: “Nessuna ironia, nessun macchiettismo. Tutto molto umano”. Esatto, è proprio così. Le polemiche oltranziste di chi vorrebbe una società ancora divisa tra guelfi e ghibellini lasciano il tempo che trovano. E Izzo, oltre ad aver attaccato furiosamente un film che probabilmente non ha nemmeno visto, ha toppato clamorosamente su un'altra questione: noi, laici, non ci siamo annoiati per nulla. Anzi. Nanni Moretti è riuscito nell'arduo compito di farci apparire più simpatica un'istituzione che rispettiamo ma che spesso fatichiamo a capire. Più Moretti, meno Izzo. Farebbe bene alla Chiesa, senza dubbio alcuno.
mercoledì 13 aprile 2011
Boris o della terza via culturale
FareitaliaMag
13 aprile 2011
Chi è andato al cinema a vedere Boris sperando di assistere a due ore di sfottò nei confronti della tv e del cinema nazionalpopolare è rimasto deluso. Almeno in parte. Sì, perché la scommessa cinematografica (stravinta) della serie cult di Sky non poteva che sparigliare le carte, ancora una volta. Schiaffoni e satira ferocissima nei confronti del vuoto cine-televisivo che per sintesi potremmo definire figlio del berlusconismo, ovviamente. Ma altrettanti scappellotti agli artisti engagé della sinistra di celluloide, troppo concentrati su loro stessi e sul loro onanismo culturale per rendersi conto che il mondo reale gira in maniera opposta. Ce n'è per tutti: per i cinepanettoni così come per i direttori della fotografia in cachemire e portaocchiali appeso al collo, per gli attori cani da soap opera e per i talentuosi ma insicurissimi divi della gauche di casa nostra. Il film conserva i pregi della serie televisiva: il politicamente scorretto la fa da padrone, senza sconti per niente e nessuno.
E queste due ore di schiaffoni pragmatici agli “opposti estremismi” dell'universo culturale italiano è una ventata di aria fresca in un paese che non conosce mezze misure, che è tifoso e integralista anche quando si parla di tv e cinema. Da una parte i fans del Grande Fratello o di Cristian De Sica, dall'altra gli adepti dei Bellocchio, dei Lizzani o dei Moretti. E in mezzo, in quel deserto sempre più vasto figlio dell'estremizzazione, c'è la troupe strampalata che cerca una “terza via”, che è pecoreccia, incolta, rozza e greve, ma allo stesso tempo cerca di resistere alle opposte sirene. Alla fine della fiera, il risultato è figlio del giusto pessimismo dei tempi: il film d'autore basato sul libro La casta di Rizzo e Stella diventa un "cinepanettoneimpegnato", una specie di mostro mitologico mezzo Ruby e mezzo Laura Morante. Finale amaro, dopo due ore di risate intelligenti e fragorose, che qualcosa può insegnarcela: quasi tutta la tv italiana e una parte cospicua del cinema fanno schifo e assecondano i più bassi gusti e istinti di un paese involgarito. Ma quella nicchia intellettuale che ricerca ossessivamente la qualità e la noia, del paese non ha mai capito nulla. Eccoli, gli opposti estremismi della cultura italiana. E anche gli emuli tardivi delle truppe cammellate engagé, i ritardatari del cachemire infeltrito, i profeti della “cuRtura cacio e pepe”, si mettano l'anima in pace. L'Italia non è sul divano a guardare il Grande Fratello, né nelle claustrofobiche salette d'essai del Pigneto o di San Lorenzo. E non è nemmeno su Facebook, grazie al cielo, dove dovremmo imparare a prenderci meno sul serio. I geniali autori di Boris lo hanno capito. E noi?
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