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mercoledì 13 gennaio 2010

"Glee", il club della diversità

Ffwebmagazine
13 gennaio 2010
Immaginate un liceo in una città sperduta dell’Ohio. Prendete un gay, una ragazza afroamericana sovrappeso, un disabile in carrozzina, un’asiatica balbuziente e una teenager con la fissazione per il successo. Buttateli in un coro scolastico e fateli guidare da un professore bello, buono e politically correct. Contrapponeteli ai maschioni ipertestosteronici della squadra di football americano e alle veline a stelle e strisce del team di cheerleader con annessa allenatrice stronza e politically uncorrect. Ecco Glee, il fenomeno televisivo del momento negli Stati Uniti e, addirittura prima dell’arrivo sui nostri schermi, anche in Italia.

Misto tra telefilm adolescenziale e sitcom musicale, Glee strizza l’occhio, ma appena appena, ad High School Musical e al fenomeno Zack Ephron. Ma il risultato, stavolta, non è per nulla scontato e disneyano.

Nel liceo di Lima, 40mila abitanti sperduti nel bel mezzo di uno degli Stati più problematici degli Usa, la rinascita del famigerato Glee Club e del coro a esso collegato innesca una reazione a catena che sconvolgerà le vite di tutti i protagonisti. Con sorprese mica da ridere. La cheerleader più popolare della scuola, nonché presidentessa del Club della Castità (sic!), scopre di essere incinta. Il ragazzo gay fa outing con il padre (nerboruto e incazzoso meccanico). Rachel, la stella del coro, è figlia di un utero preso in affitto da una coppia di omosessuali. La moglie del professor Schuester (l’eroe buono della serie) finge una gravidanza per non far cadere il marito tra le braccia della maniacale professoressa Emma. Sembrerebbe Beautiful, insomma. Con la differenza che qui gli intrecci e le novità non capitano per caso, non sono fini a se stesse. C’è sempre qualcosa dietro, sempre una lezione da imparare, un messaggio da trasmettere.
In Italia, per adesso, è arrivato solo il primo episodio (trasmesso la sera di Natale dalla satellitare Fox) e per il resto della prima stagione bisognerà aspettare qualche mese. Oltreoceano invece, la serie è già arrivata all’episodio 13, spartiacque tra due metà trasmesse, ahinoi, a distanza di mesi l’una dall’altra. L’ultima parte, infatti, andrà in onda a partire da aprile.

Ma i giovani Glee addicted italiani, e sono già tanti, si sono industriati come hanno potuto, contando sull’insostituibile aiuto del file sharing online. Versione originale con sottotitoli in italiano, scaricabile il mattino successivo alla messa in onda americana. Ed ecco, dunque, che ci sono già migliaia di spettatori che hanno visto i tredici episodi, bypassando la televisione tradizionale (ormai è un’affermata consuetudine). I critici della serie, però, hanno imputato all’ultima creatura catodica di Ryan Murphy, già autore di Nip/Tuck, un buonismo di maniera che la rende stucchevole, esageratamente zuccherosa. Sarà che in Italia siamo abituati a ben altro tipo di “cattivismi”, di parolacce scagliate come dardi avvelenati tra opposte fazioni, di attacchi livorosi a mezzo stampa un giorno sì e l’altro pure; sarà per questo, forse, che per noi le vicende per nulla politicamente corrette di questo gruppo di giovani disagiati (almeno agli occhi degli altri) ci sembra buonista e zuccheroso? No, perché per noi, che abbiamo visto le puntate andate in onda negli Stati Uniti, il messaggio che ne viene fuori è tutto fuorché questo, è rivoluzionario, è decisamente controcorrente per gli standard della nostra società.

Quale serie televisiva dedicata ai giovani, in Italia, ha parlato di disabilità e possibilità di cantare e ballare su un palco? Quale sit-com si è occupata di omosessualità e ha descritto le sensazioni di un diciassettenne che si innamora del capitano della squadra di calcio? Quale programma di approfondimento o telegiornale ha mai parlato di omogenitorialità, pur sapendo perfettamente che sono centinaia in Italia i figli di coppie gay e lesbiche? Domande retoriche, purtroppo.

E allora, invece di parlare di politically correct, come se i buoni sentimenti siano la peste del secolo, da Glee bisognerebbe addirittura imparare qualcosa. Proviamoci, almeno. Mal che vada, anche le menti meno propense all’apertura di vedute si consoleranno con ottime canzoni (quasi tutte cover di successi del passato) e un talento musicale dei giovani attori che fa paura. Tanto, si sa, alla fine noi italiani preferiamo sempre e solo le canzonette.

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