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mercoledì 20 gennaio 2010

Nello Stato del Massachusetts vince la de-ideologizzazione

Ffwebmagazine
20 gennaio 2010
«Clamoroso al Cibali», urlò Sandro Ciotti alla radio il 4 giugno 1961 per commentare la vittoria del Catania sull’Inter. Bene, sostituiamo allo stadio catanese la parola Boston e l’effetto, quasi cinquant’anni dopo, è lo stesso. Sì, perché dopo sessant’anni di dominio democratico (e precisamente kennedyano) lo Stato americano del Massachusetts elegge un senatore repubblicano. Scott Brown ha battuto con il 52% dei voti Martha Coakley, fino a poche settimane fa data per certa erede del seggio che fu di Ted Kennedy, l’ultimo patriarca della dinastia.

Verrebbe da urlare al miracolo, da scomodare epiche vittorie di eroi mitologici, da ringraziare chissà quale santo protettore dei conservatori americani. In effetti, quello che è successo ha un significato simbolico che va al di là del normale scontro elettorale. Chi, però, da tempo si sgola per annunciare la morte dei dogmi ideologici, dei muri e delle divisioni figli del Novecento, è sorpreso un po’ di meno. Si parla, ad esempio, della sconfitta democratica come di una debacle clamorosa per Barack Obama e le sue riforme, senza pensare che proprio la vittoria dell’ex senatore dell’Illinois alle presidenziali di un anno fa aveva spianato la strada a episodi del genere. Non esistono più certezze granitiche derivanti da vecchi pregiudizi, la politica e le scelte elettorali sono ormai liquide, così come lo è la società in cui viviamo. Le roccaforti, i feudi personali, i ridotti da espugnare, diventano sempre di meno. Quella in Massachusetts, dunque, è una vittoria innanzitutto della politica post-ideologica, della libertà dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti senza rispettare a tutti i costi un copione scritto da tempo.

È ovvio, d’altro canto, che non si può leggere l’evento solo da un punto di vista generale e teorico. È giusto sottolineare che probabilmente nella scelta degli abitanti del più importante Stato del New England c’è anche una critica a Obama e al suo primo anno di presidenza. E le conseguenze potrebbero essere davvero rischiose per l’inquilino della Casa Bianca. Il Partito democratico, con la vittoria di Brown, ha perso la maggioranza qualificata di sessanta senatori e da oggi in poi non potrà più evitare l’ostruzionismo repubblicani sui grandi temi al centro delle rivoluzionarie riforme obamiane. E i risultati di stanotte seguono di poco tempo le sconfitte in New Jersey e Virginia, altri campanelli d’allarme della possibile crisi (prematura, a dirla tutta) del sogno obamiano. O forse, più semplicemente, le elezioni senatoriali del Massachusetts di politico hanno davvero ben poco. Sembra averlo capito il neoeletto Scott Brown (aitante cinquantenne con un passato da modello senza veli per Cosmopolitan), che ha parlato di vittoria della voce degli indipendenti, non dei cittadini schierati con questo o quel partito. La de-ideologizzazione della società provoca paradossalmente più senso della politica, quella vera, che valuta serenamente e obiettivamente partiti, persone e idee, senza essere più schiava di un forzato e castrante senso di appartenenza identitaria.

La lezione che arriva da Boston potrebbe attecchire anche da noi, potrebbe finalmente farci capire che le divisioni schematiche e asfittiche del secolo scorso limitano, di fatto, la nostra libertà. Quando l’Emilia Romagna sarà governata dal centrodestra e la Sicilia dal centrosinistra (per fare solo due esempi tra i più clamorosi), potremmo anche noi urlare al miracolo, celebrare la fine del monopolio ideologico in quelle due regioni. Fino a quel momento, però, dovremo guardare agli esempi stranieri con malcelata invidia, sperando che la liquidità della società contemporanea infetti benevolmente anche il nostro mondo politico. Qualche passo in avanti lo abbiamo già compiuto. Ma la strada, a quanto pare, è ancora lunga.

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