FareitaliaMag
9 maggio 2011
Se non fossimo i romantici idealisti che siamo, oggi faremmo passare in cavalleria la festa dell'Europa, giornata dedicata al recupero difficile e lento di un orgoglio continentale che fa fatica a imporsi nel panorama politico, sociale e culturale dei tempi nostri. Ma proprio perché per noi l'Europa rappresenta qualcosa di più di una mera espressione geografica o di un agglomerato indistinto e incoerente di interessi economici e finanziari, una piccola riflessione allo stato di salute delle istituzioni comunitarie ci sembra più che necessaria.
Ma prima di celebrarlo, questo giorno di festa, andrebbe capito bene cos'è, quando è nato e perché è stato scelto proprio il 9 maggio. Molti fanno risalire la nascita delle istituzioni comunitarie a quei trattati di Roma che nel 1957 diedero il la al processo di unificazione continentale, ma sette anni prima, appunto il 9 maggio 1950, c'è da registrare l'evento che per primo ha funzionato da motore propulsivo per l'allora impensabile avventura: la dichiarazione Schuman.
L'allora ministro degli Esteri francese, ispirato da un altro grande padre della patria comune europea come Jean Monnet, spiazzò tutti con una proposta semplice e limitata, la creazione di un'unità continentale nella produzione di acciaio e carbone, ma che fu comunque rivoluzionaria in anni difficili come quelli del dopoguerra, segnati dall'esplosione della Guerra Fredda: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent’anni antesignana di un’Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L’Europa non è stata fatta e abbiamo avuto la guerra”. E ancora: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania”.
Parole pesanti come macigni, visionarie per molti, rivoluzionarie per pochi, illuminati leader che negli anni a venire saranno capaci di innescare il meccanismo virtuoso di un'unione economica e politica del continente.
E oggi più che mai, sessantuno anni dopo, ha senso recuperare quello spirito, quella visione, quel sogno. Sì, perché i tempi convulsi e confusi che viviamo hanno bisogno di obiettivi comuni, di sogni a lunga scadenza, di progetti ambiziosi. L'Europa si trova ad affrontare un evidente momento di crisi valoriale, prima ancora che economica. Deve affrontare, da un lato, le difficoltà dell'egemonia americana, alla quale abbiamo affidato per tanto tempo le nostre ambizioni, e dall'altro l'arrembante ingresso sulla scena globale di attori sempre più potenti come Cina e India. Il vecchio sistema europeo rischia di non reggere una sfida così difficile. E proprio per questo, è tempo di rinverdire i fasti di una visione comune, di quell'anelito continentale che ha ispirato personaggi indimenticabili come lo stesso Robert Schuman, Jean Monnet, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Altiero Spinelli.
Dalla crisi economica agli sconvolgimenti nella sponda sud del Mediterraneo, dalla lotta al terrorismo globale al fenomeno difficilmente regolabile dell'immigrazione, l'Europa deve parlare con una sola voce, farsi finalmente “patria comune” e immaginare un futuro ancora più solido e unito, anche dando sfogo agli istinti più visionari e sognatori di cui è capace. Sessant'anni fa, l'idea di un continente unito era molto più di un'utopia irrealizzabile. La cortina di ferro era già scesa come una mannaia a separare i destini d'Europa, eppure c'era gente che all'unificazione, lunga e perigliosa, ci credeva. E se ci si credeva allora, a maggior ragione dovremmo crederci adesso, dando fondo alle ultime e preziose riserve di sogno. Ne abbiamo sempre meno, ma ne abbiamo ancora. Non sprechiamolo, perché il nostro continente è unito e solidale o non è. Tanti auguri Europa.
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