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giovedì 9 giugno 2011

Sabato al Pride, da destra


FareitaliaMag
8 giugno 2011

Tra tre giorni Roma ospiterà la più importante manifestazione continentale in difesa dei diritti delle persone omosessuali. L'Europride riempirà fino all'inverosimile le vie della Capitale e l'Italia provinciale, un po' omofoba e bigotta, a volte fastidiosamente intollerante, diventerà il centro dell'universo LGBT. Come si dice in questi casi? “Ogni manifestazione pubblica è segno di libertà e vitalità democratica”, e via cantando. Vero, verissimo. E la parata di sabato rappresenta un'occasione importante per la società italiana, che non può più chiudere gli occhi di fronte a una necessità di regolare diritti (e doveri) di migliaia di coppie figlie di un Dio minore.
La politica, innanzitutto, dovrebbe fare la sua parte. Perché nel 2011 è vergognoso e inconcepibile che il Parlamento non affronti una problematica di tale portata, che riguarda davvero qualche milione di persone (le stime della popolazione omosessuale in Italia variano tra il 5 e il 10%). Solo affrontarlo, per carità. Perché nessuno si aspetta una legge in tal senso da una legislatura come quella attuale. Sarebbe qualcosa di inimmaginabile, purtroppo. Ma un passetto in avanti, soprattutto a destra, ce lo aspettiamo eccome.
Nel centrodestra italiano, solo fino a pochi anni fa, l'argomento era un vero e proprio tabù. A destra non si doveva né poteva parlare di gay, di omoaffettività, di Pacs, unioni civili e men che meno di matrimonio “alla spagnola”. Ne è prova anche qualche avventata affermazione di alcuni leader politici di primissimo piano che oggi hanno finalmente capito quale deve essere l'approccio al problema ma solo dieci anni fa si lanciavano in tesi sgangherate al limite dell'omofobia più gretta. E invece, oggi si può parlare di omosessualità anche a destra, interrogandosi su quale debba essere l'istituto normativo che riconosca finalmente i sacrosanti diritti di due persone dello stesso sesso che si amano e decidono di condividere la loro esistenza. Anche perché l'Italia è rimasta uno degli ultimi paesi in Occidente a non prevedere alcun tipo di garanzia. Ci si può sposare in Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Svezia e Norvegia, mentre esistono altre forme di riconoscimento delle unioni gay in Francia, Svizzera, Germania, Inghilterra, Austria, Irlanda, Finlandia, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria. Manchiamo solo noi, insomma.
E se persino Marine Le Pen si è recentemente schierata a favore delle unioni gay, smentendo decenni di omofobia del Fronte Nazionale e usando l'argomento in chiave anti-islamica (in soldoni: “Noi siamo civili, rispettiamo le differenze e riconosciamo i diritti alle coppie gay”), l'anomalia italiana diventa sempre più preoccupante. Ecco, allora, che una parte della destra politica italiana comincia a interrogarsi e finalmente molti politici liberali o conservatori trovano il coraggio di dire pubblicamente che sì, le coppie gay devono avere un riconoscimento giuridico anche nel nostro paese. Fino a pochi mesi fa, la mosca bianca era Benedetto Della Vedova, che ogni anno sfidava i fischi della piazza ultraideologizzata per sfilare al Gay Pride, orgoglioso della sua appartenenza politica di centrodestra ma non per questo chiuso in steccati omofobici che non fanno onore alla grande famiglia liberalconservatrice e moderata di casa nostra. Dalla prossima legislatura, ne siamo certi, si potrà cominciare a parlarne, trovando un punto di contatto tra centrodestra e centrosinistra e uscendo a testa alta da una vergogna continentale che ci vede fuori dal consesso delle nazioni civili su questo tema.
E allora, nell'attesa che il futuro sia migliore di questo desolante presente, sabato andiamo in piazza, da destra, a reclamare diritti civili inalienabili. Lo dobbiamo non solo a chi lotta da decenni per queste elementari conquiste di civiltà, ma anche, e forse soprattutto, a quella nuova destra liberale che abbiamo in mente, che è diversa dai rigurgiti omofobi e intolleranti di certe frange estremiste o bigotte e che ha capito, finalmente, che i diritti degli individui non sono negoziabili e che soprattutto non sono in contrasto con i sacrosanti principi ispiratori della destra politica. Non si tratta di chiedere “matrimoni alla spagnola” o adozione. È un discorso che sta a monte, che concerne il rispetto e la tolleranza nei confronti dell'altro da noi. Solo quando avremo capito questo potremo iniziare a parlare di forme di regolamentazione normativa. È arrivato il momento di prendere posizioni in merito. Se non ora, quando?

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