Ffwebmagazine
11 febbraio 2010
Pierluigi Bersani e il Pd sbarcano a Sanremo? Bene, bravi, bis. Dopo sessant’anni di puzza sotto il naso, di contrapposizione ideologica e culturale con il Festival della canzone italiana, la sinistra italiana riscopre il nazionalpopolare, addirittura se ne appropria. Se il segretario del partito più importante della sinistra si tufferà nel marasma sanremese e se, come se non bastasse, YouDem (la televisione del Pd) produrrà un vero e proprio Dopofestival, qualcosa è davvero cambiato.
E allora noi, da sempre legati a doppio filo (per scelta o necessità) a tutto quello che era nazionalpopolare, proponiamo uno scambio alla nuova sinistra “fiori e canzonette”. Volete Sanremo? Prego, accomodatevi pure, è tutto vostro. Noi, però, vogliamo in cambio qualcosa, anzi qualcuno. I migliori esponenti della tradizione cantautoriale italiana, ad esempio, da De Gregori a Vecchioni, da Branduardi a Battiato, da Fossati ai fratelli Bennato e Guccini.
In barba alle vecchie distinzioni di appartenenza, agli steccati ideologici degli anni Settanta, oggi possiamo finalmente fare quello che sta facendo Bersani sulla riviera ligure. E, sia chiaro, non ci appropriamo dei cantautori citati solo per fare un dispetto a Bersani o alla sinistra. Le poesie in musica dei cantautori italiani hanno saputo rappresentare magistralmente l’anima di un paese, l’essenza di un popolo. Hanno ricordato la nostra storia, hanno raccontato il nostro presente, hanno immaginato il nostro futuro. Non tutti arcinoti al grande pubblico, poi, sono riusciti a interpretare gli umori e i drammi, le speranze e le sconfitte dell’Italia molto meglio di Sanremo.
Il De Gregori di Viva l’Italia o de Il cuoco di Salò, ad esempio, può non piacerci? Quell’Italia “con le bandiere”, “tutta intera”, “dimenticata e da dimenticare” è parte di noi. O Francesco Guccini, che per primo, mentre molti incitavano i carri armati sovietici, ha denunciato in musica la repressione della primavera di Praga, con un inno alla libertà struggente e profondo: «Son come falchi quei carri appostati, corron parole sui visi arrossati, corre il dolore bruciando ogni strada e lancia grida ogni muro di Praga». E ancora il Vecchioni di Samarcanda e il Branduardi di tantissime canzoni sulla ricerca spirituale o delle proprie radici storiche e culturali.
I fratelli Eugenio ed Edoardo Bennato, così diversi tra loro eppure entrambi importanti nella storia del cantautorato italiano. Il primo ha raccontato e racconta, meglio di chiunque altro, il rapporto viscerale, sanguigno e a volte doloroso tra le due sponde del Mediterraneo, accompagnando con ritmi coinvolgenti e quasi medianici i flussi di uomini e speranze nel mare nostrum. Grande Sud, peraltro presentata proprio a Sanremo qualche anno fa, è un inno moderno dello spirito euromediterraneo. Edoardo, invece, in più brani ha raccontato l’anelito libertario. Memorabile e ironico Dotti medici e sapienti, brano del 1979 nel quale il cantante napoletano va contro le convenzioni, le regole imposte, i dogmi (scientifici o filosofici che siano) per rilanciare la centralità dell’individuo. È l’accanimento del “sistema” contro la libertà giovanile, è la versione in musica e ironica del messaggio che viene fuori, ad esempio, da Arancia Meccanica di Stanley Kubrick.
Un altro cantautore che ci piace (e anche parecchio) e che rientra nello scambio con il Bersani sanremese è Ivano Fossati. Sia quando racconta i tormenti dell’animo umano alle prese con i sentimenti (La costruzione di un amore è un capolavoro senza tempo che andrebbe insegnato nelle scuole) che quando si occupa con passione e partecipazione di integrazione, immigrazione, inclusione, società multietnica e solidarietà, il cantautore genovese riesce a toccare le corde più profonde degli animi anche di chi non è, volendo usare le solite, vecchie e stantie categorie, di “sinistra”.
L’ultimo che vogliamo, anzi che pretendiamo, è Franco Battiato. Già da tempo nel Pantheon musicale della destra italiana, il Maestro catanese è allo stesso tempo umano e sovrannaturale, filosofico e pragmatico. Da E ti vengo a cercare (nella quale la ricerca spirituale, ben diversa da quella cristianamente intesa) all’ultimo Inneres Auge, tutto è metafisica, tutto è mitico e mitologico.
Questa, dunque, la lista dei cantautori che vogliamo in cambio di Sanremo. Lo scambio, ovviamente, non è per niente equo. Ci guadagniamo, e anche troppo. Ma dopo mezzo secolo di nazionalpopolare, è il minimo che meritiamo. Anche perché, la tradizione dei cantautori italiani, per troppo tempo considerata “di nicchia”, “intellettuale”, “alta”, è invece lo zenit del nazionalpopolare. Se per nazionalpopolare intendiamo, per chiarire, la capacità di raccontare non solo la mente ma anche la pancia e il cuore di un paese intero. Chissà se Pierluigi Bersani, così preso dai preparativi sanremesi, si accorgerà del “pacco” che gli stiamo tirando… Speriamo di no.
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