Ffwebmagazine
18 febbraio 2010
Quando ormai ci sentivamo sopraffatti da Emanuele Filiberto e i Savoiardi (Pupo e il tenore Luca Canonici) e dal loro stucchevole inno all’Italia pieno di retorica e banalità, da Sanremo è improvvisamente arrivato un raggio di sole. È Arisa, la cantante lucana che già l’anno scorso aveva conquistato tutti con Sincerità.
Malamoreno, il brano di quest’anno, è il vero inno a un paese che ci piace, che non si ridicolizza in festivalieri aneliti fintamente patriottici, che non ostenta fantomatiche identità, culture o religioni da difendere con i denti, manco fossimo a Lepanto. Che non si prende troppo sul serio, che alla facile retorica preferisce una melodia orecchiabile e un testo pieno di speranza. Quella vera, però. Quella della vita di tutti i giorni, di chi nonostante tutto non si piange addosso e sa perfettamente che tutto può finire o andare in malora ma, appunto, l’amore no. Ora, se non siete così romantici, sostituite tranquillamente alla parola amore il termine che meglio vi rappresenta. Il risultato è uguale: tre minuti di spensierata allegria.
E dire che Rosalba Pippa, il vero nome di Arisa, da molti è considerata quasi folkloristica, molto buffa, sicuramente simpatica, un personaggio mediaticamente spendibile ma poco altro. Forse perché non è una gran figa con tacco 12 e scollature da capogiro, forse perché è ironica e autoironica, forse perché è timida e magari un po’ insicura. Ce ne fossero di Arise. Ce ne fosse di gente normale che fa musica perché ama farla. Che è completamente priva di sovrastrutture e si mostra al pubblico esattamente così com’è. E viene da Potenza, non da Ginevra, tanto per intenderci.
È così diversa dall’immagine che i mass media danno dell’Italia, la ventisettenne Arisa. Non urla, non provoca a tutti i costi, non vuole apparire e basta. E poi è una ragazza che ha le idee chiare. In passato ha detto la sua su molti temi “sensibili”, o almeno in Italia lo sono, visto che di certe cose nel nostro paese è sempre meglio non parlarne. E lo ha sempre fatto con la solita semplicità, perché lei è così. Disarmante nella sua genuinità.
È lei, a nostro avviso, il volto positivo del Festival di Sanremo. Canzonette, sissignore. Ma non con il vuoto pneumatico tutt’attorno. Nel nostro paese c’è una strana equazione dura a morire: nazionalpopolare uguale trash. No, per niente. C’è una tradizione lunghissima di cultura popolare degna di rispetto, che è passata anche per il festival di Sanremo. Il problema è che ormai l’imbarbarimento generale della stessa pop culture e dei mezzi di comunicazione di massa ha stravolto anche i significati classici delle categorie culturali.
Nell’epoca del gossip e dei reality, qualcuno vorrebbe farci credere che l’Italia vera è quella di Emanuele Filiberto. Chi lo ha ammesso al festival di Sanremo, peraltro con una canzone inascoltabile e dal testo ridicolo (ha scritto più che bene Massimo Gramellini su La Stampa di oggi), credeva che avrebbe potuto vincere. Noi italiani, si sa, siamo sottovalutati da chi conta. I risultati della prima serata all’Ariston, però, hanno dato una risposta chiara sul tema: a casa, senza voltarsi indietro..
E quella stessa gente che ha democraticamente votato (dopo il 2 giugno si potrebbe far diventare festa nazionale anche il 16 febbraio), fischiettava e ondeggiava la testa durante l’esibizione di Arisa. Perché in fondo noi italiani siamo così: magari superficialoni in apparenza, prostrati dal cafonal imperante, ma per nulla stupidi. Da qui alla fine della kermesse canora, dunque, noi tiferemo Arisa, sorridendo di cuore ogni volta che sullo schermo apparirà il suo bel viso ottimista e scanzonato, impacciato e genuino. Perché in un paese in cui tutti si prendono troppo sul serio, persino un giovane rampollo di una casata decaduta, è la leggerezza che ci salverà. Indietro, Savoia.
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