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sabato 16 luglio 2011

"No alle Sante Alleanze, la vera alternativa è il Pd"


FareitaliaMag
15 luglio 2011

intervista a Nicola Latorre

Riuscire a strappare consensi e stima dalla parte politica avversa non è certo compito semplice, soprattutto in Italia. Eppure Nicola Latorre, cinquantacinquenne senatore del Pd, con un passato da dalemiano di ferro, è uno dei pochi che c'è riuscito. Pacato, dialogante, acuto e capace di fare autocritica: ecco cosa apprezzano di lui gli avversari. Anche in quest'intervista ha dimostrato le sue doti migliori, anche se quando c'è da “cantarle” come si deve al governo, alla maggioranza o a chi (anche dentro il Partito democratico) vorrebbe farci tornare al proporzionale, Latorre non ha peli sulla lingua. Nessuno spazio per Sante Alleanze antiberlusconiane da Vendola a Fini, nessun "papa straniero", sì al dialogo con un nuovo centrodestra capace di realizzare le riforme. E su un punto il senatore democratico non transige: il candidato premier del Pd è Pierluigi Bersani.

Cominciamo dall'attualità più stringente. L'Italia sta vivendo giorni difficili, stretta com'è tra speculazioni finanziarie e rischi di default. Come giudica la manovra presentata dal governo? E cosa è pronta a fare l'opposizione per evitare un tracollo finanziario?
Il nostro giudizio sulla manovra resta profondamente negativo. Nonostante il ministro Tremonti si sia detto disponibile ad accogliere alcuni dei nostri emendamenti, penso a quello sulle pensioni o a quello sulla trasparenza degli appalti pubblici, l'impianto della manovra continua a essere radicalmente sbagliato. Non c'è risanamento senza crescita: con i tagli lineari di questi anni non si è ridotta la spesa corrente e si è bloccato lo sviluppo anche perché nessuna delle riforme necessarie è stata approvata. L'Italia ha bisogno di riforme strutturali, in primis quella del fisco e del mercato del lavoro. Naturalmente per attuare le riforme di cui necessita il Paese, che saranno dure e anche impopolari, serve un governo con un largo consenso che l'esecutivo in carica non ha più.

Sembra che il Partito democratico non sia riuscito a capitalizzare nel migliore dei modi la vittoria alle ultime amministrative. È sempre la solita storia della litigiosità interna o stavolta i problemi vengono dagli alleati Vendola e Di Pietro?
Vorrei sgombrare il campo da una leggenda che si è affermata in questi mesi, secondo cui a un tracollo della maggioranza non corrisponde un'opposizione credibile in grado di porsi come alternativa di Governo. I milioni di italiani che sono andati a votare per tre volte nello stesso mese, prima per il primo turno delle amministrative, poi per i ballottaggi e poi per i referendum, hanno espresso un voto premiando proprio l'alternativa al governo Berlusconi. Il Partito Democratico, con il lavoro che ha svolto in questo anno il segretario Bersani, è il perno di questa alternativa.

Le divisioni tra i democratici sono recentemente esplose sulla questione della legge elettorale e sui due referendum contrapposti. Lei che sistema elettorale preferisce? E qual è la linea ufficiale del suo partito?
Noi abbiamo sempre preferito un sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Nella prossima direzione del 19 luglio approveremo una proposta di riforma sulla quale sviluppare in Parlamento e nel Paese la nostra iniziativa politica. Sarò di una vecchia scuola ma rimango dell'idea che le leggi elettorali si cambiano in Parlamento e non attraverso un referendum. La consultazione referendaria può essere un utile strumento di pressione nei confronti del Parlamento, ma le diverse proposte referendarie di cui si parla rischiano di rappresentare solo un'occasione di rottura all'interno del partito. Nel merito considero profondamente sbagliato il referendum Passigli. Il Mattarellum è certamente preferibile rispetto al sistema attuale ma non la consideriamo la soluzione migliore.

Le voci di una possibile Santa Alleanza contro Berlusconi che vada da Vendola a Fini stanno riprendendo corpo negli ultimi giorni. Crede sia un'ipotesi verosimile per le prossime elezioni? E soprattutto: crede che, anche vincendo, una coalizione simile possa vincere la scommessa della governabilità?
Non ho mai creduto alle Sante Alleanze, tanto più dopo la fallimentare esperienza politica dell'Unione. Il progetto di Fini è quello di costruire un nuovo centrodestra e per questo non mi pare all'ordine del giorno la sua partecipazione a un'alleanza con il centrosinistra. Con una nuova destra certamente sarebbe più agevole trovare una intesa per condividere in Parlamento quelle riforme istituzionali di cui ha bisogno l'Italia. Ma questa è cosa ben diversa da una alleanza di Governo.

Veltroni contro D'Alema, D'Alema contro Veltroni. Sembra un mantra infinito che si ripete da quindici anni. Come si può superare questo dualismo che sembra penalizzare un partito che dovrebbe avere il vento in poppa e invece si trova alle prese con i problemi di sempre?
Il dualismo tra D'Alema e Veltroni è roba d'altri tempi e francamente non è materia che mi appassiona. Comunque per ogni ulteriore notizia è il caso di rivolgersi agli interessati.

Anche il centrodestra pare voglia intraprendere la via delle primarie. Il Pd ha maturato una certa esperienza sul tema (anche a proprie spese): cosa si aspetta dalle primarie del centrodestra? Dia un consiglio ai suoi colleghi della maggioranza.
Innanzitutto registro che qualcosa si muove anche nel centrodestra. Per la prima volta in vent'anni il partito fondato da Berlusconi ha un segretario. Ma temo che di strada debbano farne ancora parecchia: Alfano è stato eletto per acclamazione, è nulla rispetto ai diversi milioni di italiani coinvolti dalle primarie del Pd che hanno eletto Pierluigi Bersani. Non basta annunciare di voler fare le primarie per diventare di colpo un partito moderno. Tra l'altro consiglierei al PdL di fare un briefing prima di rilasciare dichiarazioni sulle primarie: fino ad ora per ogni dirigente che le ha chieste, ce ne è stato uno che le ha bocciate.

Pd e questione morale, altro argomento che ogni tanto rifà capolino nell'attualità politica. È un problema reale? Cosa fa il Pd per combattere eventuali “inquinamenti” interni?
Non esiste alcuna questione morale nel Pd. Certo è sempre doloroso constatare che qualche iscritto ha commesso illeciti a nome del partito. Ma non prendiamo lezioni da nessuno: quando qualcuno dei nostri amministratori è stato coinvolto in un'inchiesta giudiziaria non ha esitato a dare le sue dimissioni. Spetta poi alla magistratura, a cui noi rinnoviamo come sempre la nostra stima e la nostra piena fiducia, accertare le eventuali responsabilità.

Il bipolarismo è davvero in crisi o ce lo vuole far credere chi spera di tornare a un quadro più frammentato e “proporzionale”?
Dal bipolarismo non si arretra. Questa è l'unica certezza che deve guidarci nel percorso di ricostruzione del dopo Berlusconi. Semmai abbiamo avuto modo di valutare che il nostro bipolarismo non si fonda sul bipartitismo. A destra il ruolo della Lega, nel centrosinistra quello dell'Idv e di SEL, al centro la formazione del Terzo Polo, dimostrano che è impossibile ipotizzare un bipartitismo italiano. In ogni caso guai a tornare indietro, a quando gli elettori non potevano scegliere la coalizione di governo e tutto si decideva alle loro spalle.

Il candidato del centrosinistra alle prossime politiche sarà Pierluigi Bersani? Può escludere già adesso l'arrivo del tanto agognato “papa straniero”?
Da una crisi di sistema come questa si esce solo con la forza della politica. Siamo nel pieno del tramonto del berlusconismo e i colpi di coda non sono finiti. Credo, dunque, che se l'impianto politico culturale che si è affermato in questi sedici anni sta iniziando a crollare, l'unica risposta alla crisi profonda che sta vivendo il paese intero, è la politica. Nessun papa straniero. Nessun governo tecnico. Nessuna strategia politica concordata all'interno dei palazzi. Noi chiediamo elezioni subito. E il nostro candidato premier è Pierluigi Bersani, che ha guidato il partito in un momento particolarmente difficile, rafforzandone il progetto. E proprio con Bersani vogliamo affrontare le elezioni primarie del centrosinistra per poi ridare al Paese una speranza di futuro che il governo Berlusconi ha portato via. 

giovedì 14 luglio 2011

Quella legge non andava fatta

FareitaliaMag
13 luglio 2011

Qualche anno fa, mentre l'Italia era spaccata sui quesiti referendari riguardanti le modalità di procreazione assistita, gli strenui difensori della legge 40 ripetevano pedissequamente lo stesso mantra: “Sulla vita non si vota”. Ancora adesso abbiamo qualche dubbio sulla validità di quella posizione, ma saremmo molto curiosi di sapere cosa pensano oggi le stesse persone sulla legge che è stata approvata ieri dal Parlamento e regolerà il testamento biologico. “Sulla vita non si vota” varrà anche per Montecitorio?
La legge licenziata dalla Camera dei Deputati fissa i paletti entro i quali sarà possibile dichiarare anticipatamente il trattamento desiderato in caso di grave malattia e/o stato vegetativo. Ma è innegabile che le norme contengono più paletti che reali chance di scelta di cura e trattamento. Eppure la Costituzione italiana parla chiaro: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Articolo 32, comma 2 della Carta fondamentale della nostra Repubblica. Sul merito della questione, dunque, si potrebbero dire tante, troppe cose.
Il punto centrale della questione, però, è un'altro: era davvero necessario legiferare su un tema così delicato e spinoso? Era davvero inevitabile che il Parlamento si esprimesse ufficialmente con una norma che giocoforza è figlia di una interpretazione di parte ma che coinvolgerà tutti gli italiani?
No, secondo noi non era il caso di intervenire a gamba tesa tra le maglie intricatissime di uno degli argomenti più intimi e personali che possano esistere. Le posizioni sono differentissime, tra i banchi di Montecitorio, e tutte lecite, proprio perché il testamento biologico ha poco a che vedere con la disciplina di partito. Ha poco a che vedere con la politica in generale, e soprattutto con le decisioni di una parte (qualsiasi essa sia) che vincoleranno un'intera nazione.
Evidentemente le lezioni dolorose e traumatiche di Welby ed Englaro non sono servite a nulla. Evidentemente la lotta infinita tra pasdaran di questa o quell'altra fazione continua a ingabbiare il buonsenso e spinge i partiti a legiferare su tutto, persino sulla morte. Lo Stato etico e pesante non ci è mai piaciuto, liberali come siamo. E ancora meno ci piace lo Stato che vuole davvero accompagnarci, come nella migliore (o peggiore?) tradizione, dalla culla alla bara.
Non è questione di merito, o almeno non solo. Ma innanzitutto di metodo e modo. Sulla vita non si vota? E comincino a dare il buon esempio i partiti. Almeno su questo.

mercoledì 13 luglio 2011

E' sempre il solito Pd: D'Alema contro Veltroni

FareitaliaMag
12 luglio 2011

Niente, non c’è niente da fare. Il Pd proprio non ce la fa a sfruttare le occasioni migliori, quelle che in un quindicennio capitano due o tre volte. Con Berlusconi sconfitto alle amministrative e ai referendum e il vento che pare sia cambiato, il Partito democratico (insieme ai suoi alleati) è riuscito nell’ardua impresa di non sferrare il colpo decisivo. La litigiosità del centrosinistra italiano è cosa nota e ha origini antiche (chiedere a Romano Prodi), ma stavolta l’occasione era troppo ghiotta per essere sprecata così miseramente.
E invece ci sono riusciti. Chapeau. A cominciare dal partito più grande dell’opposizione, che pare vivacchiare stancamente grazie a una tregua (quanto solida?) tra dalemiani e veltroniani (faida ininterrotta da quindici anni), incapace dell’acuto che trasformerebbe un discreto tenore in una stella immortale della lirica. Niente, rien, nothing, nada: quel do di petto non riesce a venire fuori. E anche se il timido Bersani avesse voglia di cimentarsi nell’impresa, ci penserebbero i solerti alleati a strozzare la nota in gola all’ispiratore (o emulatore?) di Maurizio Crozza. Nichi Vendola e Antonio Di Pietro sono stati i veri trionfatori delle ultime amministrative e ora vogliono passare all’incasso, l’un contro l’altro armati in una disfida tutta da seguire per la conquista della golden share del centrosinistra. La strategia del governatore della Puglia è chiarissima da tempo: affabulare più possibile gli italiani bisognosi di “sogni” e giocare la carte del plebiscito popolare nelle primarie per la scelta del candidato premier. Nichi è maestro di comunicazione e sa bene che contro questo Pd mogio e scialbo la sua verve comunicativa ha partita facile. Forse non pensava, però, di dover far i conti anche con il nuovo Antonio Di Pietro, neofita del moderatismo che sembra voler abbandonare l’antiberlusconismo senza se e senza ma per sfondare al centro (o a destra?).  I battibecchi via stampa tra i due non si contano più dalle amministrative a oggi, e a farne le spese, manco a dirlo, è proprio il Pd.
I democratici, poi, non hanno molto tempo da dedicare alla guerra tra il poeta e contadini, presi come sono da mille spaccature interne che rischiano di mandare a ramengo il sogno della riscossa su Berlusconi e il centrodestra. Ultimo casus belli in ordine di tempo è il referendum sulla legge elettorale, presentato da Parisi, Veltroni e Castagnetti (pare con il malcelato avallo di Rosy Bindi) e che vorrebbe tornare al mattarellum in vigore fino al 2006 (75% dei seggi da assegnare con collegi uninominali e il 25% con la quota proporzionale). Una proposta ben accolta anche da Sel e Idv. Idea vincente del Pd, dunque? Nemmeno per sogno. Basti pensare che il nemico numero uno del referendum in questione è Stefano Passigli, altro democratico che ne ha depositato in Cassazione uno opposto: quello sul ritorno al proporzionale puro. E Bersani, cioè D’Alema, che ne pensa? La risposta del segretario è netta e non ammette discussioni:  «Le leggi elettorali si fanno in Parlamento e la nostra proposta è buona e giusta. Chiedo a tutto il gruppo dirigente del Pd di stare su questa posizione». Peccato che dall’altra parte non hanno la minima intenzione di indietreggiare.
L’ennesima sfida all’Ok Corral tra Veltroni e D’Alema sembra essere iniziata. Noi abbiamo già i pop corn pronti.

venerdì 8 luglio 2011

Strauss-Kahn presto scagionato? I giustizialisti faranno finta di nulla


FareitaliaMag
7 luglio 2011

I sette capi d'accusa potrebbero cadere già prima del processo fissato per il 18 luglio. E allora sì che Dominique Strauss-Kahn avrebbe tutto il diritto di stappare lo champagne (la moglie lo ha già fatto qualche giorno fa dopo la scarcerazione). Sì, perché il terribile caso del potentissimo stupratore di cameriere d'albergo, che aveva sbattuto il principale candidato all'Eliseo in prima pagina come il mostro crudele da dare in pasto all'emotiva istintività della pubblica opinione, si sta sgonfiando in maniera altrettanto rapida e vorticosa.
Non ripercorreremo i fatti, per due semplici motivi: lo hanno fatto in tanti e soprattutto perché di fatti certi, acclarati e provati in tutta questa vicenda ce ne sono davvero pochi. Quello che resterà, dopo il probabile proscioglimento di DSK, è però un retrogusto amare che sa di giacobinismo manettaro tipico di certa stampa vorace e di certa politica interessata. Gli ingredienti c’erano tutti: il potente di turno (a capo del Fondo monetario internazionale e a un passo dalla candidatura socialista alle presidenziali del prossimo anno), una inclinazione innegabile e a volte incontrollata nei confronti del sesso femminile, mille chiacchiere circolate negli anni scorsi.
Sia chiaro, Dominique Strauss-Kahn non è certo un esempio di rigore morale o uomo dai saldi valori familiari e monogami. Ma nel pasticciaccio newyorkese tutto ciò c’entra davvero poco. C’è chi parla di complotto, ovviamente. E di solito il complottismo in noi non trova terreno fertile. Ma forse di “trappolone” si può e si deve parlare. Non è dato sapere a che livello sarebbe stato concepito o chi sarebbe il deux ex machina. Forse avversari politici, forse semplicemente la cameriera in questione, convinta di poter monetizzare uno scandalo del genere.
Ma nemmeno di questo vogliamo parlare, anche perché l’ultima parola non è stata ancora detta dalla giustizia americana (che stavolta non ha fatto una bellissima figura). Quello che ci interessa è la totale mancanza di approccio garantista alla vicenda. Appena le legittime accuse sono state mosse a monsieur Strauss-Kahn, è stato tutto un fiorire di condanne preventive, di dichiarazioni al vetriolo in ogni angolo del mondo. E nel frattempo il posto del socialista Strauss-Kahn al Fondo monetario internazionale è stato preso dalla sarkozyana Vivien Lagarde, una delle più indignate dopo l’arresto del suo predecessore.
Fiumi di inchiostro sono stati versati contro l’ennesimo porco maschio e maschilista che ha stuprato una donna indifesa, per giunta africana e povera. Un quadretto perfetto per i forcaioli di ogni paese, buttatisi sulla preda come un branco di voracissimi piranha.
Ora, premesso che Strauss-Kahn non è un asceta tibetano o un monaco certosino, qualora venisse prosciolto definitivamente come potrà vedere risarciti i danni incalcolabili alla sua immagine e alla sua carriera? Le donne della commissione europea si cospargeranno il capo di cenere e chiederanno scusa per la reazione smodata nei giorni dell’arresto?  Chiederanno anche scusa a Juncker, che chiedeva solo di attendere l’esito delle indagini prima di lanciarsi in linciaggi mediatici ed evidentemente strumentali? Nulla di tutto questo succederà, ne siamo certi. Lo sappiamo bene perché siamo abituati al giustizialismo italiano, campione di condanne preventive e di scuse mai arrivate dopo assoluzioni clamorose. Probabilmente ne saprà qualcosa a breve anche Amanda Knox, che secondo le ultime indagini potrebbe (e sottolineiamo potrebbe, perché noi di verità assolute non ne abbiamo) anche non essere quell’assassina fredda e spietata che hanno raccontato i media negli ultimi anni.
Il caso Strauss-Kahn, insomma, se da un lato ci indigna come garantisti (quale che sia l’esito delle indagini), dall’altro ci fa capire ancora una volta che tutto il mondo è paese. Siamo abituati a manettari senza vergogna di destra e di sinistra, che giudicano il processo come una semplice ratifica delle loro intuizioni giacobine, e vedere che l’intero pianeta soffre di questa orribile malattia ci regala qualche attimo di sollievo, prima di farci ripiombare nello scoramento e in quella desolante solitudine dei garantisti che è propria del nostro tempo.

martedì 5 luglio 2011

Una domenica di guerriglia contro la modernità


FareitaliaMag
4 luglio 2011

Che paese strano, l'Italia. Dove lo trovate un altro paese che dedica una domenica d'estate alla guerriglia per dire no al progresso, alla costruzione di una linea ferroviaria moderna che ci collegherebbe degnamente al resto dell'Europa? Da nessuna parte, diciamocelo. Siamo un paese bislacco, pronto a dividersi tra guelfi e ghibellini anche su temi che all'apparenza sembrano pacificamente condivisibili.
Le contraddizioni si sprecano, nella vergognosa vicenda dei No Tav. Innanzitutto c'è l'incredibile niet degli ambientalisti che, dopo decenni di predicozzi sulla necessità di diminuire il traffico su gomma a favore di quello su rotaia, ora dicono no alla rotaia perché la montagna non può essere perforata. Dio solo sa perché.
Poi ci sono i partiti politici più radicali (da Sel ai grillini) che cavalcano con una faccia di bronzo degna di miglior causa l'onda lunga del populismo un tanto al chilo, figlio anche delle recenti elezioni amministrative. Incredibile la posizione di Beppe Grillo, che ha definito “eroi” i quattro sfaccendati che hanno provocato disordini e violenze. Come un Masaniello da quattro soldi, il comico genovese ha così arringato la folla: «State facendo una rivoluzione straordinaria, siete tutti eroi, le campane suonano per tutta l'Italia che ci sta guardando attraverso la rete». Detto questo, il cantore dell' “armiamoci e partite” è fuggito dai lacrimogeni e le randellate le ha lasciate agli altri, agli “eroi”.
E il bollettino di “guerra”, alla fine della domenica di follia, è da scenari libanesi: 188 agenti di polizia feriti, forse altrettanti tra i manifestanti. Questo l'eroico responso di una eroica domenica vissuta stupidamente.
I partiti politici, per fortuna, hanno mostrato buonsenso. A parte qualche lupo solitario che, anche a destra, su facebook si è mostrato ondivago per strizzare l'occhiolino alle armate tastierate intrise di proclami vuoti e voglia di conservazione ottusa.
Sarebbe bello poter parlare di Tav, poter analizzare nel merito i pro (tantissimi) e i contro (inesistenti) di un progetto irrinunciabile senza il quale saremmo ancora di più fuori dall'Europa che conta. Le forze responsabili del paese, dunque, parlino insieme alla gente. Spieghino l'ovvio, perché in questo strano paese anche l'ovvio va spiegato, ahinoi. Spieghino che la Tav è un progetto vitale per il futuro di questo paese. Spieghino che la violenza non ha mai risolto nulla, e l'Italia lo sa bene, purtroppo. Spieghino ai valligiani della Val di Susa che Grillo parla per convenienze personali, per voglia di visibilità mediatica. Spieghino che l'alta velocità è ecosostenibile, economicamente vantaggiosa e utile al progresso italiano. Spieghino tutto ciò, facciano fronte comune contro il populismo demagogico. Plachino gli animi di chi non capisce (o non vuole capire) e dimostrino, almeno una volta, che esiste una classe dirigente capace di reggere le sfide della modernità.  

domenica 3 luglio 2011

Siamo tutti gossippari


FareitaliaMag
2 luglio 2011

Gioacchino Rossini, che era uomo di mondo mica da ridere, lo aveva capito prima di molti altri e l'aria “La calunnia è un venticello” potrebbe essere usata come inno universale del gossip. Un fenomeno che è ben più vasto e importante di quanto abbiamo finto di credere fino a poco tempo fa. Non è questione di rotocalchi da parrucchiere, né di pettegolezzi di infimo livello fatti girare da una portiera troppo impicciona. Il gossip, forse più che il denaro o il sesso, fa girare il mondo. Soprattutto il mondo che conta. Quel “bel mondo” che, una volta squarciato il velo dell'ipocrisia e dell'intoccabilità, ha mostrato di aver ben poco di bello. Ma niente predicozzi moralisti, per carità. Ognuno fa della sua vita privata ciò che vuole e l'unico confine, quello sì intoccabile, è il codice penale.
E allora, a chi importano i gusti sessuali di George Clooney o le scappatelle di questo o quel calciatore? A chi frega qualcosa della vita privata di ministri e teste coronate, divi della tv e campioni dell'alta finanza? A tutti, ammettiamolo, perché farsi i cazzi propri, si sa, è di una noia mortale.
E allora ecco che si spiegano le vendite record dei magazine pettegoli, ecco che si capisce appieno il successo di programmi televisivi che non abbiamo problemi a definire “spazzatura” (visto che lo sono eccome) ma che ci permettono di farci i fatti altrui, di guardare dal buco della serratura, di rendere umani, troppo umani, quei divi abbronzatissimi e straricchi che ci fanno diventare verdi di invidia.
Qualcuno ha detto, mutuando una frase di Karl Marx e adattandola allo Zeitgeist odierno, che “il gossip è l'oppio dei popoli”. Sarà, ma in questa visione radical chic del pettegolezzo avvertiamo soltanto molta puzza sotto il naso da parte di quegli stessi salotti che di gossip (seppure engagé e upper class) si alimentano e si sostentano. Prima della sciura che legge “Chi” mentre attende il proprio turno dalla “pettinatrice”, infatti, ci sono i salotti buoni, le carriere distrutte o promosse con una semplice voce di corridoio. E il gossip è ovunque, non solo in tv o sui campi di calcio di Seria A. Il gossip ormai è politica e la politica è gossip. Prendiamo un governo a caso, a prescindere dal colore politico: ebbene, di questo governo conoscete più i pettegolezzi sui suoi componenti o il contenuto di una manovra economica? Tutto è gossip, e speriamo che il gossip non sia tutto. Perché ci può e ci deve essere dell'altro.
Ma a chi vi dice che “No, io quella robaccia non l'ho mai letta”, non credete mai. Perché anche solo una volta nella vita lo abbiamo fatto tutti, vivaddio. Alzi la mano chi non ha mai sfogliato Novella 2000, Chi, o peggio Vero, Stop, Cronaca Vera e chi più ne ha più ne metta. Lo abbiamo fatto tutti e sarebbe il momento di far cadere ogni ipocrisia.
Da qui a esaltare questo fenomeno figlio dei tempi, però, ce ne passa. E allora tentiamo un approccio laico, asettico, o almeno scevro da qualsiasi forma di pelosissima superiorità. E a chi criticherà, rigorosamente alle nostre spalle, la scelta di dedicare questo numero al gossip, nemmeno risponderemo. Mica vorrete che ci mettiamo a rispondere a dei bassi e volgari pettegolezzi, vero?

sabato 2 luglio 2011

Michele Santoro e la sindrome di Calimero


FareitaliaMag
1 luglio 2011

Lo abbiamo difeso quando volevano azzittirlo. Lo abbiamo elogiato quando, con “Raiperunanotte”, ha inferto un colpo mortale alla tv generalista. Lo abbiamo esortato quando, concluso il suo rapporto con la Rai, sembrava vicino a La7.
Ma ora, Michele Santoro, facciamo davvero fatica a capirlo. La trattativa con la rete Telecom è naufragata, non si capisce bene perché, e il giornalista salernitano è tornato sul piede di guerra attaccando tutto e tutti, recuperando l'argomento (validissimo, per carità, ma forse fuori luogo in questo caso) del conflitto di interessi. E poi, dopo aver litigato anche con La7, ha assicurato che Annozero si farà in autunno, senza alcun dubbio. Ma come? Su che rete?
Santoro è un grande giornalista. E ne è talmente consapevole che a volte si fa trascinare da un ego palesemente ingombrante, rischiando di dar ragione a chi lo considera “martire di professione”, “incapace di affrontare le sfide del mercato televisivo”, “bisognoso di un nemico interno per dare il meglio di sé”.
È un peccato che Santoro non riesca a smettere i panni di Calimero per concentrarsi solo su quello che sa fare meglio: giornalismo scomodo, a volte fazioso, ma sempre di ottima qualità. E ora qualcuno già dice che l'intenzione del conduttore di Annozero è tornare in Rai a furor di popolo, dopo che il contratto era stato rescisso consensualmente e con una lauta buonuscita.
Che l'azienda di viale Mazzini stia sbagliando tutto è cosa nota. Il fuggi fuggi di queste settimane è la prova più evidentemente di uno stato confusionale che fa il male di quella che viene considerata (a torto) la più grande azienda culturale del paese. Ma Santoro aveva l'occasione di dare una risposta proprio a quella Rai che non lo aveva apprezzato e che, anzi, spesso aveva tentato indecentemente di mettergli i bastoni tra le ruote.
E invece no. Il Nostro ha preferito replicare un copione già visto fin troppe volte. Dopo lo scellerato “editto bulgaro”, Santoro aveva giustamente creato attorno a sé l'aura dell'epurato per motivi politici ed era riuscito a raccogliere la solidarietà anche di chi notoriamente non la pensa come lui.
Oggi, però, all'ennesimo replay anche nei confronti di La7 e Telecom Italia Media, comincia a venirci il dubbio che ci goda proprio a fare la vittima e che forse non ha tutti i torti chi lo accusa di non saper stare sul mercato.
Mentre attendiamo di essere smentiti (ci farebbe molto piacere vedere un Santoro libero e a briglia sciolta su La7), assistiamo impotenti all'ennesimo teatrino politico-televisivo, la solita pièce tragicomica in cui tutti i protagonisti fanno la figura degli idioti. Anche noi telespettatori, purtroppo.