FareitaliaMag
12 luglio 2011
Niente, non c’è niente da fare. Il Pd proprio non ce la fa a sfruttare le occasioni migliori, quelle che in un quindicennio capitano due o tre volte. Con Berlusconi sconfitto alle amministrative e ai referendum e il vento che pare sia cambiato, il Partito democratico (insieme ai suoi alleati) è riuscito nell’ardua impresa di non sferrare il colpo decisivo. La litigiosità del centrosinistra italiano è cosa nota e ha origini antiche (chiedere a Romano Prodi), ma stavolta l’occasione era troppo ghiotta per essere sprecata così miseramente.
E invece ci sono riusciti. Chapeau. A cominciare dal partito più grande dell’opposizione, che pare vivacchiare stancamente grazie a una tregua (quanto solida?) tra dalemiani e veltroniani (faida ininterrotta da quindici anni), incapace dell’acuto che trasformerebbe un discreto tenore in una stella immortale della lirica. Niente, rien, nothing, nada: quel do di petto non riesce a venire fuori. E anche se il timido Bersani avesse voglia di cimentarsi nell’impresa, ci penserebbero i solerti alleati a strozzare la nota in gola all’ispiratore (o emulatore?) di Maurizio Crozza. Nichi Vendola e Antonio Di Pietro sono stati i veri trionfatori delle ultime amministrative e ora vogliono passare all’incasso, l’un contro l’altro armati in una disfida tutta da seguire per la conquista della golden share del centrosinistra. La strategia del governatore della Puglia è chiarissima da tempo: affabulare più possibile gli italiani bisognosi di “sogni” e giocare la carte del plebiscito popolare nelle primarie per la scelta del candidato premier. Nichi è maestro di comunicazione e sa bene che contro questo Pd mogio e scialbo la sua verve comunicativa ha partita facile. Forse non pensava, però, di dover far i conti anche con il nuovo Antonio Di Pietro, neofita del moderatismo che sembra voler abbandonare l’antiberlusconismo senza se e senza ma per sfondare al centro (o a destra?). I battibecchi via stampa tra i due non si contano più dalle amministrative a oggi, e a farne le spese, manco a dirlo, è proprio il Pd.
I democratici, poi, non hanno molto tempo da dedicare alla guerra tra il poeta e contadini, presi come sono da mille spaccature interne che rischiano di mandare a ramengo il sogno della riscossa su Berlusconi e il centrodestra. Ultimo casus belli in ordine di tempo è il referendum sulla legge elettorale, presentato da Parisi, Veltroni e Castagnetti (pare con il malcelato avallo di Rosy Bindi) e che vorrebbe tornare al mattarellum in vigore fino al 2006 (75% dei seggi da assegnare con collegi uninominali e il 25% con la quota proporzionale). Una proposta ben accolta anche da Sel e Idv. Idea vincente del Pd, dunque? Nemmeno per sogno. Basti pensare che il nemico numero uno del referendum in questione è Stefano Passigli, altro democratico che ne ha depositato in Cassazione uno opposto: quello sul ritorno al proporzionale puro. E Bersani, cioè D’Alema, che ne pensa? La risposta del segretario è netta e non ammette discussioni: «Le leggi elettorali si fanno in Parlamento e la nostra proposta è buona e giusta. Chiedo a tutto il gruppo dirigente del Pd di stare su questa posizione». Peccato che dall’altra parte non hanno la minima intenzione di indietreggiare.
L’ennesima sfida all’Ok Corral tra Veltroni e D’Alema sembra essere iniziata. Noi abbiamo già i pop corn pronti.
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