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lunedì 8 marzo 2010

E agli Oscar trionfano donne e normalità

Ffwebmagazine
8 marzo 2010

In Italia era l’8 marzo già da sei ore. E qualcosa vorrà pur dire. Tra i fasti del Kodak Theatre di Los Angeles, si è svolta l’82esima cerimonia degli Oscar. E ha trionfato, l’avrete capito, una donna. Kathryn Bigelow, prima esponente del “gentil sesso” nella storia a vincere la statuetta di miglior regista, ha visto il suo The Hurt Locker battere la corazzata Avatar con sei Academy Awards contro tre. Non sarà contento l’ex marito James Cameron, sconfitto sonoramente e a sorpresa, dopo le mille aspettative create dal film che ha incassato di più nella storia del cinema.  L’8 marzo, insomma, che a volte sembra una festa maschilista anzichenò, almeno nella settima arte quest’anno assume un certo innegabile valore. 

Non solo per la Bigelow, tra l’altro. Durante lo show hollywoodiano, infatti, un’altra donna ha catalizzato l’attenzione dei più. Non stiamo parlando di Meryl Streep, inossidabile attrice di razza giunta alla sua sedicesima nomination (record assoluto); né della sorprendente Sandra Bullock, che dopo una vita di filmetti romantici da botteghino ha vinto un Oscar tra lo stupore generale. La donna in questione ha un nome strano, da ghetto, mica da Beverly Hills. È Gabourey Sidibe, attrice esordiente afroamericana del film rivelazione di quest’anno di celluloide: Precious.  Gabourey ha 26 anni, è nata a Brooklyn da un tassista senegalese e da una cantante di gospel. Gabourey è fortemente sovrappeso e interpreta una teenager americana oversize, picchiata e derisa dalla madre,  e che resta incinta due volte per gli abusi del padre. 

Una storia forte, un cazzotto nello stomaco che in un colpo solo ci ricorda due cose che non dovremmo mai dimenticare: quanto è difficile essere donna nel 2010, anche nel paese più ricco e democratico del mondo, e quanto il nostro aspetto fisico condizioni non solo la nostra vita sociale ma anche quella dentro le mura di casa, soprattutto se attorno a noi c’è povertà e ignoranza. Faceva tenerezza, Gabourey, seduta accanto alle star dello showbiz a stelle e strisce. E non era seduta su una normale poltrona del Kodak Theatre. Nossignore, non ci entrava. Eppure, nonostante la stazza, la giovane newyorkese ha conquistato più applausi e inquadrature che tutte le sue longilinee colleghe messe insieme. Non per pietà, né per politically correctness. Semplicemente perché è stata brava e ha recitato da Dio all’esordio assoluto sul set. Il merito, questo sconosciuto alle nostre latitudini, forse negli States ha ancora un senso.  

E poco male se l’Oscar non è arrivato. Gabourey era contenta lo stesso, rideva e piangeva, incredula a ogni citazione che la riguardava, scioccata quando la dea degli afroamericani Oprah Winfrey ne ha tessuto le lodi dal palco. 

Che 8 marzo per il cinema! Niente mimosa polverosa e allergogena regalata da qualche maschietto che si vuole lavare la coscienza. Le donne di Hollywood hanno festeggiato a modo loro. Hanno sbancato l’Academy a suon di capolavori e interpretazioni da urlo. Al messaggio panteista e tutto flower power di James Cameron, è stata preferita la vita di tutti i giorni. La storia sporca e incazzata di una ragazza del ghetto, le vicende eroiche e allo stesso tempo umanissime dei soldati in Iraq della Bigelow, persino la musica country di Jeff Bridges in Crazy Heart

Sono stati gli Oscar della normalità, della lotta quotidiana per sopravvivere. Poco conta se tra le dune irachene o tra i vicoli dei ghetti. Pare non ci sia spazio, nell’America in crisi economica e di identità, dei voli pindarici su Pandora e dei megapuffi buoni e da salvare. C’è da salvare prima la pellaccia di ciascuno di noi, altro che Pandora. E le donne, come sempre, ci sono arrivate per prime. Chapeau.

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