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mercoledì 3 marzo 2010

La principessa Sissi e il feuilleton alla vaccinara

Ffwebmagazine
3 marzo 2010
Due ore nel terrore che Cristiana Capotondi a un certo punto sbotti con un “Two gust is megl che one” o, peggio, “Luke Perry mi ti farei. Ad Aspen mi ti farò”. Questa la terribile sensazione che attanaglia lo spettatore di Sissi, nuova superfiction targata Rai sulla vita dell'imperatrice d'Austria. Sarà stato anche uno stupido pregiudizio per un'attrice figlia dei cinepanettoni e degli spot televisivi, però questo è stato, e il nostro giudizio non può non tenerne conto. La Capotondi, in fondo, è cresciuta molto professionalmente e in alcune commedie degli ultimi anni ha dimostrato un certo mestiere. Altra cosa, però, è cimentarsi con uno dei personaggi mitici della storia del cinema, già reso immortale da Romy Schneider negli anni Cinquanta.

Sissi, principessa bavarese e sposa di Francesco Giuseppe d'Asburgo, mal si concilia con la pur sopita “romanità” dell'attrice protagonista. E questo è un altro fatto incontrovertibile, che trasforma il tutto in un “feuilleton alla vaccinara” che fa venire i brividi. Ma il problema principale della fiction non è l'interpretazione della Capotondi. La sceneggiatura è carente, persino ridicola per una vicenda storica complessa come quella di Sissi. Quello che viene fuori è un misto tra Aladdin di Disney, una delle tante commediole su principi annoiati e democratici e una soap opera. Come Jasmine, principessa di Agrabah nel cartone disneyano, anche Sissi si camuffa da persona qualunque e va in giro per mercatini e piazze, con l'intento di “guardare negli occhi il popolo”. E poi, come se non bastasse, l'immancabile scontro con la suocera cattiva, tipo matrigna di Biancaneve.

E che dire di David Rott, giovane interprete dell'Imperatore d'Austria? Troppo ingessato, rigido, per nulla regale. Belloccio, ovviamente, come si confa ai tempi televisivi che stiamo vivendo. La perizia recitativa è un optional, per nulla indispensabile. Le banalizzazioni storiche, poi, gridano vendetta. Le vicende del Risorgimento italiano, ad esempio, sono trattate con superficialità disarmante. E proprio quando manca un anno all'anniversario dell'Unità d'Italia, si dedica una fiction a chi quell'Unità l'ha contrastata con guerre sanguinose e fratricide.

Ma torniamo alla televisione, senza impelagarci in interpretazioni storico-politiche che non ci competono. Sissi è una fiction noiosa, vecchia, stantia nella sceneggiatura e nella regia. Limita i danni, per quanto possibile, il megabudget che ha permesso di girare le scene in luoghi magnifici e molto evocativi, a cominciare dal castello di Schönbrunn, dove le vicende di Sissi e Francesco Giuseppe si svolsero davvero.
Nonostante tutto, però, lo sceneggiato ha raccolto più di sette milioni di telespettatori. C'era da attenderselo, innanzitutto perché il personaggio di Sissi ancora oggi occupa un ruolo fondamentale nell'immaginario collettivo delle masse, con il suo alone da Lady Diana ante litteram, anticonformista quanto basta e bastian contrario all'interno della mummificata corte viennese. E poi, motivo per nulla secondario, perché in un periodo confuso e “caciarone” come quello che l'Italia sta attraversando, le favole acquistano ancora maggiore appeal. C'è voglia di principi e principesse, di carrozze e balli, di case reali e feuilleton ottocenteschi. Ci si accontenta di poco, dunque, per scappare dalla grigia quotidianità del Ventunesimo secolo. Ogni fase storica, poi, ha la Sissi che si merita. Per i nostri padri e i nostri nonni c'era la splendida Romy Schneider, a noi è toccata la Capotondi. O tempora o mores.

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