Ffwebmagazine
2 marzo 2010
Dopo che Marcello Lippi ci ha fatto sapere, ieri, che Mario Balotelli deve ancora “maturare” prima di essere convocato in nazionale, si spiegano davvero molte cose. Ad esempio si spiega la partecipazione come guest star del commissario tecnico della nostra nazionale all’avventura sanremese di Emanuele Filiberto e Pupo. C’è del vecchio nel nostro ct, una mentalità che fa a cazzotti con i tempi che galoppano e travolgono le resistenze stantie di una conservazione cieca e controproducente.
E, come se non bastasse, mentre chiude le porte a uno dei talenti più puri del calcio italiano in crisi degli ultimi anni, Lippi supplica Alessandro Nesta perché torni a vestire la maglia azzurra: 34 anni, 78 presenze in nazionale, 3 Europei e 3 Mondiali giocati.
Con tutto il rispetto per il difensore del Milan, che senso ha inseguire un difensore non più giovanissimo e lasciare a casa dei talenti puri che porterebbe fantasia e spettacolo sul campo da gioco?
Balotelli Mario, classe 1990, genio e sregolatezza come non se ne vedevano da tempo negli stadi italiani, dovrà dunque guardare i mondiali da casa. Poco male, avrà altre occasioni senza dubbio alcuno. Però bisognerebbe spiegare al ct Lippi che la storia della maturazione non regge ed è una scusa bella e buona, una giustificazione all’innegabile voglia di conservazione che ha contraddistinto la seconda esperienza in azzurro dell’allenatore di Viareggio. Vicente Feola, ad esempio, è un nome che non dice molto ai più. Eppure, da allenatore del Brasile, porto ai mondiali di Svezia del 1958 un certo Pelé, diciassette anni, classe allo stato puro, genio e sregolatezza anche lui. Alla faccia della maturazione, il fuoriclasse brasiliano segnò sei gol e trascinò i verdeoro al trionfo finale contro lo squadrone svedese del GreNoLi (Gren, Nordhal, Liedholm). E anche un certo Diego Armando Maradona, a 22 anni furoreggiava sui prati spagnoli nel Mundial che vinse l’Italia di Bearzot.
L’età, dunque, è una scusa che non regge mai. Che si parli di calcio, di cultura, di politica. Insomma, sembra che Lippi (e in questo si rivela perfetto campione dell’Italia di oggi, gerontocratica e rannicchiata su se stessa) abbia un’avversione atavica nei confronti dei giocatori giovani, e per questo estrosi, magari un po’ sopra le righe, ma talentuosi anzichenò. Vedere alla voce Cassano, per intenderci.
Gianfranco Fini, che ai giovani della generazione Balotelli ha dedicato un libro intero, proprio ieri ha messo in guardia le nuove generazioni da chi dice “Largo ai giovani” e poi li relega ai margini della società (“Sono i veri soggetti deboli della società odierna”, ha detto il presidente della Camera). Marcello Lippi, alfiere di una coerenza che sa tanto di ancien regime, fa ancora di più: quella frase così abusata nemmeno la pronuncia. Si ostina, piuttosto, a rincorrere vecchie glorie che in nazionale non ci vogliono tornare e ignora bellamente i pochi talenti puri che il calcio italiano in crisi ci sta regalando.
Liberissimo di compiere le proprie scelte, sia chiaro. È il suo mestiere e si assume le sue responsabilità. Liberissimi anche noi, però, di dire che così – magari senza rendersene conto - esprime una cultura che fa male all’Italia. E non parliamo solo della Nazionale di calcio…
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